Giugno 2022 |
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Presa de posizione della TCI sulle tesi e i nostri commenti rapidi e insufficienti
Cari compagni,
Abbiamo letto il vostro documento (Tesi sulla guerra in Ucraina) e abbiamo notato con piacere che c’è stata un’evoluzione positiva delle vostre posizioni, a cominciare dalla necessità del partito mondiale della rivoluzione, quale strumento indispensabile nello scontro di classe per il superamento del capitalismo. Non è certo la prima volta che ponete la questione, ma adesso ci sembra che ci sia una sottolineatura ulteriore.
Correttamente, poi, mettete in relazione l’inasprimento delle tensioni imperialiste e la guerra in Ucraina, con l’aggravarsi della crisi che, appunto, spinge le diverse fazioni borghesi ad aumentare la loro aggressività, secondo le più “classiche” logiche dell’imperialismo.
Questi sono, senza dubbio, gli aspetti positivi, ma nelle vostre “Tesi” ce ne sono altri che ci lasciano molto perplessi, perché riflettono, a nostro parere, metodologie analitiche meccaniciste e idealiste allo stesso tempo. Detto in altri termini ancora, dalle “Tesi” emerge uno schematismo che rischia di dare una rappresentazione sbagliata delle tendenze in atto, rendendo il vostro documento fuorviante ai fini di un orientamento comunista del proletariato, cioè, oggi, delle minoranze e delle individualità – non necessariamente proletarie – che si pongono sul terreno dell’anticapitalismo.
Voi assegnate un ruolo centrale all’Europa, sia nello scontro imperialista attuale – preludio forse di quelli futuri – che nella lotta di classe, cioè al proletariato di quella parte del mondo. Nessuno nega l’importanza enorme del continente europeo – è quasi una banalità – ma affermare in maniera categorica che la scacchiera europea sia il terreno principale su si gioca la sanguinosa partita dell’imperialismo è un azzardo e mette in secondo piano l’altro scacchiere dello scontro imperialista, quello cinese. Voi stessi lo accennate, ma non ne sottolineate abbastanza l’importanza primaria.
Allo stesso modo, per voi la classe lavoratrice europea ha un posto speciale, per così dire, nella ripresa della lotta di classe e nel contrasto alla guerra, perché questo segmento del proletariato mondiale avrebbe più esperienza storica (di classe) di qualunque altro proletariato. Anche questa è una schematizzazione discutibile, perché sappiamo bene come gli ultimi decenni abbiano prodotto cambiamenti profondi nella composizione di classe e nella “memoria” politica del proletariato “europeo”. Non è inutile ricordare che, negli anni più recenti, alcuni degli episodi più significativi di lotta operaia (operaia in senso lato: salariata) sono avvenuti fuori dall’Europa e, quindi, assegnando aprioristicamente la “primogenitura” della lotta di classe al proletariato europeo, si corre il rischio di scadere nell’idealismo, di farsi schiacciare dal glorioso passato rivoluzionario della classe lavoratrice del vecchio continente, di non tenere nella giusta considerazione il potenziale anticapitalista di altre sezioni del proletariato mondiale. Se voi intendete dire che soprattutto in Europa sono presenti nuclei comunisti che tengono viva la prassi rivoluzionaria (metodo teorico-politico ecc.), è un conto, ma la loro estrema debolezza numerica fa sì che siano, di fatto, sconosciuti alla nostra classe e, per il momento, senza possibilità concrete di influire sul corso degli eventi. Questo non significa, ça va sans dire, che dobbiamo rassegnarci e attendere “bordighianamente” tempi migliori, dedicandoci nel frattempo solo all’analisi teorica, ma che dobbiamo avere chiaro il percorso estremamente accidentato in cui – da sempre, per altro – ci stiamo muovendo; il fatalismo rinunciatario così come le fughe in avanti non portano da nessuna parte. Tra l’altro, non è un caso se recentemente le nostre posizioni stanno riscuotendo interesse in aree che non erano mai state toccate – o lo erano state in misura marginale - dall’attività teorico-politica della sinistra comunista “italiana”, nella quale affondiamo le nostre radici, riflesso di un fermento sociale, se non di classe, per certi aspetti nuovo. Che sia il proletariato europeo a interpretare il ruolo di primo violino o quanto meno a dare il “la” al concerto della lotta di classe, è una possibilità, senza alcun dubbio, forse la più probabile, ma non una certezza: per fare una battuta, “lo spirito soffia dove vuole”, diceva Thomas Müntzer, ma noi aggiungiamo che perché sia produttivo in senso rivoluzionario occorre uno strumento che lo capti e lo indirizzi nella giusta direzione. Però tale strumento – il partito, la nuova internazionale – è tutto da costruire e, allo stato attuale delle cose, se anche lo “spirito” proletario soffiasse più forte in Europa, non troverebbe di fatto nessuno che lo indirizzasse contro i bastioni del capitale, né qui né altrove, e la borghesia, riuscirebbe con maggiore o minore difficoltà, a rimanere padrona della situazione.
Ecco un altro punto del vostro documento che ci lascia molto dubbiosi e che emana, se dobbiamo essere sinceri, l’odore sgradevole di fantasiose teorizzazioni à la CCI. Al punto 5, voi affermate che le borghesie dell’Europa occidentale hanno difficoltà a «imprimere alla frazione del proletariato internazionale che ha la più grande esperienza di lotta operaia contro la crisi e anche contro la guerra imperialista, il grado indispensabile di sottomissione per marciare alla guerra». Purtroppo, ci sembra che non sia così, anzi, vediamo che da circa mezzo secolo la nostra classe subisce ogni attacco proveniente dalla borghesia senza rispondere o senza rispondere adeguatamente. I motivi sono tanti, li conosciamo - non da ultimo la perdita della speranza in un mondo alternativo a quello del capitale, seguita al crollo del capitalismo di stato “sovietico” spacciato per “socialismo reale” - ma resta il fatto che, finora, la borghesia sta gestendo sfruttamento e oppressione della classe lavoratrice con relativa facilità. Se poi dobbiamo dare un po’ di credibilità ai bollettini di guerra, chiamati telegiornali, con cui i mass media “occidentali” manganellano quotidianamente la cosiddetta opinione pubblica, frange di proletariato ucraino sono accorse alla difesa della patria. Che sia vero e quanto, rimane che, a meno di episodi a noi sconosciuti, non c’è stata, al momento, un’opposizione di massa alla guerra, della classe in quanto tale, né in Ucraina né in Russia e, purtroppo, nemmeno in “Occidente”. Di fronte alla guerra in Ucraina, non solo il proletariato russo e ucraino si stanno battendo per le rispettive borghesie, ma nella vecchia Europa, finora, quando si è mosso qualcosa, si è mosso in senso pacifista, ossia ’no alla guerra’ ma sì alla pace del capitale, senza capire che proprio il capitale è la causa delle guerre. Del resto, finora, mai nella storia il movimento operaio ha potuto impedire lo scoppio di una guerra imperialista (ha potuto interromperla, però...), anche se è l’unico soggetto che può farlo, un tempo come oggi, ma ciò non significa che non possa accadere né, tanto meno, che le debolissime forze comuniste non debbano lavorare in tal senso: al contrario! Senza la loro presenza attiva nella classe, questa si potrebbe mettere certamente in movimento, ma, detto ciò, rimarremmo fermi a uno dei due fattori della dialettica rivoluzionaria. Sappiamo benissimo che la classe si mobilita anche senza la presenza dell’organizzazione rivoluzionaria – quante volte nella storia è capitato! - sappiamo bene che la crisi, e ancor di più la guerra, possono dare potentissimi “calci nel culo” [in alternativa: scossoni] a una classe intorpidita, disorientata e impaurita, che interpreta quasi senza fiatare il ruolo di “classe per il capitale”, ma non è automatico che ciò accada. Soprattutto, non è automatico, anzi!, che i suoi settori più combattivi diventino “classe per sé” ossia acquisiscano coscienza rivoluzionaria, se appunto non entrano in rapporto dialettico con l’avanguardia comunista, che alimentano politicamente e dalla quale sono politicamente alimentate. Il problema è sempre quello, ma per risolverlo non dobbiamo farci guidare (solo) dalle nostre speranze, perché altrimenti queste possono diventare illusioni, e nemmeno da schematismi, che ci rendono inabili al ruolo cui aspiriamo di avanguardie della rivoluzione internazionale.
Un saluto internazionalista,
In attesa di una risposta nostra
Per mancanza di spazio, non potremo rispondere in questo numero alla lettera dei compagni. La loro critica riguarda due punti. Il primo è l’insistenza delle tesi sul ritorno dell’Europa in primo piano nella situazione storica sia a livello imperialista sia nella lotta di classe, che farebbe dimenticare-sottovalutare la realtà del fondamentale antagonismo cino-americano. Non crediamo che ci sia una vera e propria divergenza tra noi. Infatti, le tesi si dilungano a sottolineare e ad avvertire il proletariato internazionale del significato storico della guerra in Ucraina e in Europa. Il fatto che il primo conflitto che segna un passo importante verso la guerra generalizzata non opponga la Cina e Taiwan, che era una probabilità, ma la Russia e l’Ucraina, rende l’Europa l’epicentro della situazione per il momento e interpella in primo luogo il proletariato in Europa; proletariato che ha come gli altri la sua propria esperienza storica; un’esperienza che è certamente la più ricca di tutte le altre frazioni del proletariato mondiale fino ad oggi; un’esperienza che non pregiudica affatto la sua capacità di lottare in massa nel prossimo periodo, sapendo che per il momento è largamente assente – la TCI ha ragione su questo punto. Assumere questo non significa escludere a priori un’eventuale inversione della situazione internazionale che faccia dell’Asia l’epicentro della situazione in un altro momento, o addirittura in un intero periodo, e dell’Oceano Pacifico il principale teatro della polarizzazione imperialista e della guerra generalizzata, se ciò dovesse accadere. Né che il proletariato cinese e asiatico non possa prendere l’iniziativa di un’ondata rivoluzionaria internazionale di fronte a una guerra che lo colpirebbe direttamente, come fece il proletariato russo nel 1917. Se c’è una divergenza su questo punto, sta piuttosto nel fatto di accertare la probabilità – e non la predizione – degli eventi futuri in base all’analisi degli eventi attuali e delle loro dinamiche che sono determinate dalla prospettiva della guerra imperialista generalizzata e degli scontri di classe che la borghesia non può non imporre. Per il momento, a causa della guerra in Europa e dell’esperienza storica del proletariato del continente – fatti materiali e storici – riteniamo più probabile una reazione proletaria di massa alla guerra dall’Europa che dall’America, dall’Asia o dall’Africa. Questa probabilità non è una predizione, né esclude in modo assoluto che possa essere diversa, rimanendo la situazione invariata altrove – ci sono anche, ad esempio, elementi materiali che indicano una dinamica, ovviamente ancora timida, di reazioni proletarie alla crisi in Nord America. E qui sta il secondo punto di critica della TCI.
Esprime una vera e propria divergenza. Per chiarezza del lettore e perché possa orientarsi, possiamo dire grossolanamente che tocca il contraddittorio dibattito che il PCInt-Battaglia Comunista e la CCI avevano sviluppato alla fine degli anni Settanta intorno alla questione del corso storico – lo stesso che la CCI di oggi ha abbandonato al suo 23° Congresso nel 2020. Da parte nostra, cercando di non ripetere le carenze idealistiche e dogmatiche con cui la CCI riuscì a suo tempo a comprendere e a portare avanti la questione – gran parte delle critiche che Battaglia Comunista fece all’epoca erano corrette [1] – riprendiamo il concetto e, speriamo, il metodo che deve accompagnarlo, quello che i compagni della TCI hanno sempre giudicato ed etichettato come idealista. Al di là dei dibattiti storici tra il PCInt e la CCI, il lettore può anche fare riferimento allo scambio tra la TCI e noi che abbiamo pubblicato nel 2019 in Revolution or War #11 [2] su questa questione. Cercheremo di riprendere questo dibattito nel prossimo numero della rivista.
Per il momento, ci limitiamo ad accogliere lo sforzo politico e la preoccupazione della TCI in questa occasione e a darlo come esempio. Possono solo aiutarci a chiarire, o anche a correggere se necessario, il nostro approccio e la nostra comprensione. Ma soprattutto discutere, confrontarsi, precisare e chiarire i punti di accordo e di disaccordo, su questioni essenziali, qui il metodo di analisi e di comprensione della situazione storica che definisce – e definirà – orientamenti e parole d’ordine a seconda dei tempi e dei luoghi, è parte integrante del processo e della lotta per la costituzione del partito di domani. Non sono solo il programma e le posizioni di principio che il partito dovrà chiarire e su cui si costituirà, ma anche gli orientamenti generali e le tattiche che ne derivano. Raggrupparsi significa anche discutere e confrontarsi sulle principali forze della Sinistra comunista e sul suo corpus programmatico e politico.
Notes:
[1] . Ad esempio, l’idea e la posizione della CCI d’allora secondo cui ’il corso era verso la rivoluzione’, il che la rendeva una strada aperta e inevitabile. Ricordiamo ancora una volta: è stato grazie a queste critiche che l’allora CCI ha riconosciuto di essere giusto, che ha poi precisato – cambiato – la sua posizione e definito il "corso" come "verso decisivi scontri in massa di classe."
[2] . Il nostro articolo e la riposta della TCI non sono stati tradotti in italiano. Può essere letto in inglese, spagnolo e francese sulle nostre pagine web della nostra rivista #11 in queste lingue (igcl.org).