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Che cosa cambian con Trump alla Casa Biancha? (PCI-Il Comunista, 15 novembre 2024))
Riportiamo qui un estratto di un articolo del PCI-Le Prolétaire-Il Comunista, “Guerra russo-ucraina: pace imperialista all’orizzonte...”, che riprende sostanzialmente l’analisi politica e i contenuti del nostro precedente comunicato sull’elezione di Trump. Il suo particolare interesse è che va oltre la nostra posizione e avanza alcune serie ipotesi sul “dibattito” all’interno della borghesia americana circa la strategia imperialista da perseguire nel periodo attuale: mentre nessuna potenza occidentale, a partire dagli stessi Stati Uniti, “è pronta attualmente a una terza guerra mondiale”, l’elezione di Trump avrebbe lo scopo di “impedire che tra Cina e Russia si rafforzi un legame antioccidentale”. Un’ipotesi che il nostro comunicato stampa non contempla e che merita di essere presa in considerazione.
Che cosa cambia con Trump alla Casa Biancha
Molte ipotesi si sono fatte e si stanno facendo rispetto alla vittoria elettorale di Trump nelle presidenziali americane. Nella sua campagna elettorale, iniziata fin dall’assalto di massa a Capitol Hill del gennaio 2021, Trump, vantandosi che sotto la sua presidenza l’America non è scesa in guerra con nessuno, ha annunciato che ’in 24 ore’ la guerra tra Russia e Ucraina sarebbe finita. Aldilà della sparata, caratteristica di un vanaglorioso come Trump, va detto che i rapporti personali con Putin possono giocare un certo ruolo anche rispetto a questa guerra. Ovviamente, gli interessi internazionali dell’imperialismo americano sovrastano di gran lunga i rapporti personali tra il capo della Casa Bianca e quello del Cremlino. Ma sullo sfondo si può evidenziare una differenza tra le fazioni borghesi che sostenevano Biden e la guerra in Ucraina e le fazioni borghesi che sostengono Trump. Queste ultime hanno prioritariamente interesse a contenere l’espansionismo cinese e a impedire che tra Cina e Russia si rafforzi un legame antioccidentale, che creerebbe molti grattacapi sia all’America che all’Europa occidentale. Secondo Trump la guerra tra Russia e Ucraina avrebbe potuto non scoppiare, ma non ha detto come e non dice chiaramente come pensa di finirla. Una cosa però è certa: il vero nemico, attuale e futuro, degli Stati Uniti non è la Russia, ma la Cina. E il vero problema per Washington è di fare in modo che Cina e Russia non si compattino. Secondo Biden, a questo risultato si sarebbe potuto arrivare attraverso l’indebolimento economico e finanziario della Russia raggiunto con la guerra in Ucraina per la quale i paesi europei si sono compattati subendo/accettando gli ukase angloamericani sulle sanzioni contro Mosca e sull’accorpamento dell’Ucraina nella Nato. Questo risultato avrebbe indebolito la Russia a tal punto da non essere più un alleato ’affidabile’ per la Cina, allontanando così Mosca da Pechino e avvicinandola nuovamente all’Occidente. Era d’altra parte chiaro che, rispetto alla guerra russo-ucraina, aldilà delle sparate dell’ex primo ministro Medvedev sull’uso dell’atomica contro l’Occidente qualora la guerra in Ucraina si trasformasse in guerra della Nato contro la Russia, l’interesse reale delle potenze occidentali non è mai stato quello di ingaggiare una guerra contro la Russia. Basti solo tener conto della situazione delle scorte di armamenti da parte degli Stati Uniti, del Regno Unito e dei paesi dell’Unione Europea a partire dalla Germania e dalla Francia, per capire che nessuna di queste potenze è pronta attualmente a una terza guerra mondiale. Ciò non significa che non si stiano preparando – come d’altra parte la Russia, la Cina e perfino la ’pacifica’ India – a una guerra mondiale. Di fatto, la guerra russo-ucraina è servita, molto più della guerra in Afghanistan, in Iraq o in Libia, a saggiare sul reale terreno di guerra la capacità militare, politica e organizzativa, dei diversi protagonisti, anche se tutto ciò ha in un certo senso svuotato gli arsenali occidentali, ma ha nello stesso tempo fornito l’occasione di sbarazzarsi di armamenti vecchi e obsoleti, di testare armamenti di nuova generazione, di mettere in campo e provare la guerra dei velivoli senza pilota – i famosi droni – e di provare sul campo la tenuta delle truppe di terra in una guerra che si è rapidamente trasformata in guerra di logoramento, in guerra di trincea, a riprova che è sul terreno, alla fin fine, che la guerra si può vincere o perdere.
Con Trump alla Casa Bianca, aldilà della sua imprevedibilità, tornano in primo piano alcune questioni di importanza decisiva rispetto al futuro delle potenze imperialiste. La questione Europa, cioè del tentativo di compattamento politico e militare che i paesi membri dell’Unione Europea vorrebbero o potrebbero attuare e l’interesse da parte americana di tenere l’Europa in generale succube della politica di Washington. La questione della Germania, che nell’Europa unita o disunita ha e avrà sempre grande importanza. La questione della Russia, cioè se questa potenza diventerà l’anello debole o l’anello forte nel blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti, o del blocco orientale guidato dalla Cina. La questione della Nato, cioè la questione di un’organizzazione militare che reggerà o meno di fronte all’acutizzarsi dei contrasti fra le diverse potenze imperialistiche, contrasti che, inevitabilmente, faranno da base alla rottura delle attuali alleanze e al loro rimodellamento. La questione del Medio Oriente, dove si concentrano contrasti economici, finanziari, politici e militari che possono trasformarsi in casus belli sia locali sia di ordine mondiale da un momento all’altro – come d’altra parte sta già avvenendo con le iniziative di Israele non solo contro i palestinesi, ma anche contro ogni forza e ogni paese sotto l’influenza dell’Iran, il ’nemico alla porta di casa’. La questione dell’Indo-Pacifico, area che peserà sempre più nei rapporti e nei contrasti tra tutte le potenze imperialistiche e che, con ogni probabilità, assumerà il peso che ha avuto l’Atlantico nel secolo scorso. La questione Africa, continente gonfio di ricchezze naturali di cui sono ghiotti i capitalismi avanzati e nel quale Cina e Russia stanno avanzando da tempo sottraendo territori all’influenza delle vecchie potenze coloniali e nel quale gli Stati Uniti non hanno definito un importante piano di investimenti e di intervento; anzi, con il primo governo Trump, e poi col governo Biden, hanno ridotto consistentemente l’impegno economico e diplomatico verso questo continente. D’altra parte, la politica protezionista che caratterizzerà l’Amministrazione Trump, come da impegni elettorali, probabilmente tenderà a tenere l’Africa ancora in sottordine tra le priorità americane.
E infine la questione interna agli Stati Uniti, per la quale Trump, per attirare il voto delle classe operaia e della classe media, ha premuto molto sulla necessità di migliorare le loro condizioni di vita, lottando contro l’inflazione, quindi contro il rialzo del costo della vita, e contro le importazioni straniere (in particolare dalla Germania, dall’Europa in genere e dalla Cina) alzando i dazi. L’altro corno del problema riguarda l’immigrazione, verso cui la Casa Bianca in mano a Trump adotterà una politica repressiva molto più diretta di quanto non abbia fatto Biden; l’annunciata vasta deportazione di centinaia di migliaia di immigrati illegali, che è stato uno dei cavalli di battaglia della sua campagna elettorale, con ogni probabilità si ridimensionerà parecchio perché l’economia americana – come del resto l’economia di qualsiasi altro paese – ha bisogno di sfruttare vasti strati di proletari illegalmente presenti nel territorio nazionale sia perché il costo della loro manodopera è sensibilmente più conveniente rispetto ai proletari autoctoni, sia perché sono ricattabili non solo economicamente, ma socialmente, sia perché vengono utilizzati come arma di pressione sul costo del lavoro dei proletari regolarmente contrattualizzati e sindacalizzati.
Per l’America, come d’altra parte per l’Europa o per la Cina, gli anni avvenire non si presentano come anni di espansione economica, ma come anni in cui la lotta contro la crisi di sovraproduzione sarà ancora più dura di quanto non sia stata finora. La tanto sospirata crescita, che viene misurata sempre più in uno zero virgola... in più o in meno rispetto l’anno precedente, non sarà il denominatore comune delle economie più avanzate; sarà invece il cruccio di tutte le economie avanzate e obbligherà le borghesie dominanti a premere sempre più sulla classe proletaria per estorcere dal suo lavoro sempre più plusvalore e a contrastare la concorrenza estera con ogni mezzo, compreso quello militare. E, mentre le tensioni sociali tenderanno a crescere, la guerra diventerà la situazione permanente non solo nelle aree esterne all’Europa o al Nord America, ma anche al loro interno. Le diverse fazioni borghesi saranno costrette a darsi battaglia le une contro le altre per sopraffare gli interessi avversari, il che non significa che ci sarà la guerra di tutti contro tutti, ma che, come in economia si sono sviluppati i monopoli, i trust, le multinazionali, così si sviluppano e continueranno a svilupparsi sul terreno politico-militare i blocchi facenti capo all’imperialismo prevalente. Un blocco, che i media si sono abituati a chiamare ’occidentale’, costituitosi dalla seconda guerra imperialista mondiale intorno all’Inghilterra e alla Francia, si è sviluppato col primeggiare degli Stati Uniti. L’altro blocco imperialista che si oppose a questo, si costituì intorno alla Germania di Hitler e al Giappone di Hirohito, con un’Italia mussoliniana a fare da contraltare storicamente inaffidabile, come si dimostrò non appena la guerra volgeva a favore degli Alleati. Un altro blocco era rappresentato dall’URSS stalinizzata. Sono questi tre blocchi che si sono dati battaglia, prima sul terreno della concorrenza politica ed economica, poi sul terreno direttamente militare riducendosi, di fatto, in due blocchi contrastanti con il passaggio della Russia dall’intesa con la Germania, una volta che la Germania l’ha improvvisamente attaccata, all’intesa con gli Stati Uniti. Non è detto che non succeda nuovamente in un futuro scontro di guerra mondiale, magari non nella stessa forma. Ed è forse in quest’ultima prospettiva che l’America di Trump mira a un futuro capovolgimento di schieramenti: sarebbe infatti molto più conveniente, per l’America, scontrarsi con la Cina avendo al proprio fianco la Russia che non dovendo affrontare Cina e Russia in un solido blocco avversario.
Dopo la guerra imperialista, la pace imperialista
La pace imperialista a cui dice di tendere Trump nella guerra russo-ucraina, potrebbe andare in questa direzione: attirare la Russia nell’area di influenza occidentale per allontanarla dall’area di influenza cinese. Naturalmente per attirare la Russia a Ovest, data la sua inevitabile fame di territori economici che l’ha spinta a far la guerra all’Ucraina, e dato che la guerra sta andando a favore della Russia e contro la tanto sbandierata ’vittoria’ ucraina e occidentale, il conflitto armato va terminato per mettersi a negoziare. Perché il negoziato di pace abbia la possibilità di andare a buon fine, e dato che né gli Stati Uniti, né l’Europa e tanto meno la Russia e la Cina hanno interesse, oggi, a farsi la guerra, l’unica posta in gioco è i pezzi di Ucraina che la Russia si è già annessa: Crimea e parte del Donbass.
Si sta entrando nel terzo anno di guerra, e i più impantanati e senza una via d’uscita vittoriosa sono gli occidentali; lo stanno ammettendo, più o meno apertamente, gli americani, gli inglesi e i tedeschi. L’Ucraina, in tutto questo, in realtà, ha giocato un ruolo secondario fin dall’inizio con l’illusione di potersi sedere un giorno al tavolo dei potenti alla pari, viste le centinaia di migliaia di morti messi sul piatto della bilancia e una buona parte del paese da ricostruire, a tutto vantaggio dei capitalisti euroamericani che si sono già dati da fare per iniziare a dividersi la torta. Non c’è di meglio che un paese distrutto da ricostruire per dare fiato all’economia capitalistica. Dunque, quel che succederà d’ora in poi riguarda più il come che il quando terminare questa guerra. Ovvio che saranno gli americani e i russi a dettare le condizioni, sono loro che devono trovare un punto d’incontro e ciò non potrà che essere a discapito dell’Ucraina che potrà tornare a bearsi della sua ’indipendenza’, della sua ’sovranità territoriale’ e di una ripresa economica e ’pacifica’ su un territorio monco rispetto al 1991. Potrebbe finire, probabilmente, come nel 1953 tra Corea del Nord e Corea del Sud, con una linea rossa da non oltrepassare da una e dall’altra parte; è però più probabile che assomiglierà a una separazione sempre pronta a saltare, non accettata né da parte degli ucraini del Donbass né da parte dei russofoni del Donbass, e sulla quale i russi potrebbero comportarsi come gli israeliani nei confronti dei territori palestinesi. La pace russo-ucraina sarà più una tregua di guerra che non un periodo di sviluppo pacifico dell’uno e dell’altro paese.
Manca la lotta di classe del proletariato
Nessun accordo tra borghesie dominanti e imperialiste ha portato e porta benefici alle popolazioni coinvolte nei contrasti tra Stati, e tanto meno porta la pace e la prosperità ipocritamente decantate come risultato della buona volontà dei governanti. Soltanto la lotta di classe del proletariato dei paesi che entrano in guerra e la solidarietà proletaria sovranazionale hanno la possibilità di fermare la guerra imperialista, trasformandola nell’unica guerra con cui è possibile giungere a una vera pace: la guerra civile, la guerra di classe del proletariato contro la propria borghesia e contro le borghesie degli altri paesi belligeranti. La rivoluzione proletaria in Russia nell’Ottobre 1917, in piena guerra imperialista mondiale, ha dimostrato, proprio con la lotta di classe proletaria e con la guerra civile contro le classi guerrafondaie di casa propria, giungendo a conquistare il potere politico, di poter imporre la pace col ’nemico’ anche a costo di perdere territori; una pace, d’altra parte, che doveva essere difesa strenuamente contro i continui attacchi da parte degli eserciti imperialisti, chiamando i proletari di tutti i paesi alla rivoluzione nei loro paesi.
La situazione storica attuale in cui si stanno svolgendo, un decennio dopo l’altro, guerre in ogni angolo del mondo, è ben diversa da quella in cui il proletariato europeo e russo lottarono, nei primi vent’anni del secolo scorso, sul terreno rivoluzionario contro le rispettive borghesie dominanti. Il proletariato russo, europeo e mondiale, traditi dall’opportunismo socialdemocratico e stalinista in quegli anni, sono stati piegati sistematicamente agli interessi delle proprie borghesie nazionali – fossero fasciste, democratiche o falsamente ’socialiste’ -– con l’illusione di poter partecipare a un benessere diffuso grazie alla grandezza e alla potenza economica della ’patria’, accettando anche i più alti sacrifici come ogni guerra richiede. I proletari dei paesi capitalisti più avanzati, dopo l’ecatombe della seconda guerra mondiale, beneficiando delle briciole che gli imperialisti più potenti decisero di distribuire loro per tacitarne i bisogni più impellenti, non ebbero più la forza per ricollegarsi alla grande tradizione classista e rivoluzionaria delle generazioni proletarie precedenti. Continuamente titillati da un pacifico sviluppo nella democrazia e beneficiati da ogni sorta di ammortizzatori sociali, generazione dopo generazione, si sono abituati non solo e non tanto a pensare come la borghesia e la piccola borghesia, ma ad avere le stesse ambizioni di costruire il proprio futuro individuale sulla carriera personale, e di considerare i proletari di altri settori, di altre aziende, di altre nazionalità come dei concorrenti contro i quali adottare gli stessi mezzi che i capitalisti e, in genere, la borghesia, adottano nella lotta di concorrenza contro gli avversari e le altre borghesie. Non solo il senso di appartenenza alla stessa classe è stato cancellato e sepolto da decenni di collaborazionismo interclassista, ma anche la solidarietà proletaria che un tempo affratellava i proletari di ogni condizione e di ogni nazionalità è andata completamente persa. I milioni di proletari bombardati e maciullati nelle guerre borghesi sembrano appartenere ad altri mondi, rintanati nelle quattro mura di casa e gelosi dei propri interessi individuali. Niente di peggio poteva capitare alla classe proletaria internazionale che negli anni Venti del secolo scorso ha fatto tremare tutte le cancellerie del mondo.
Ma la guerra, con i suoi orrori, e con le conseguenze disastrose per la vita quotidiana dei proletari morderà spietatamente la loro apatia, spingendoli a reagire per la pura sopravvivenza. Saranno le loro avanguardie che dovranno ritrovare il collegamento con la lotta di classe del secolo scorso e non è detto che ciò non avvenga grazie al giovane proletariato orientale o africano.