Rivoluzione o Guerra n°26

(Gennaio 2024)

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Stati Uniti: sconfitta operaia, vittoria del sindacato UAW e preparazione alla guerra imperialista generalizata

« L’UAW ha annunciato che i suoi membri impegnati, che hanno lottato insieme, sono rimasti uniti e hanno picchettato insieme, hanno votato insieme per ratificare i loro contratti record. Questi contratti storici premiano i lavoratori dell’auto che si sono sacrificati così tanto con aumenti record, più tempo libero retribuito, maggiore sicurezza pensionistica e più diritti e rispetto sul lavoro. Voglio congratularmi con l’UAW e con le tre grandi aziende automobilistiche per la buona fede dimostrata nel negoziare questo contratto record. Questi contratti dimostrano che quando i sindacati si comportano bene, tutti i lavoratori ne traggono beneficio. Dopo gli storici accordi dell’UAW, anche Toyota, Honda, Hyundai e Subaru hanno annunciato significativi aumenti salariali. L’UAW sta lottando duramente per garantire che tutti i posti di lavoro nel settore automobilistico siano buoni posti di lavoro per la classe media - e io sono al loro fianco in questa battaglia. »
(Dichiarazione del Presidente Joe Biden sulla ratifica degli accordi storici dell’UAW con le tre grandi case automobilistiche - 20 novembre 2023.)

Un aumento di stipendio del 25%. Questo è ciò che ricorderà qualsiasi proletario in America o altrove che non riesca a guardare in faccia la realtà dei contratti firmati tra gli United Auto Workers (UAW) e i dirigenti delle Big Three [Tre grandi] case automobilistiche americane, General Motors, Ford e Stellantis. Dal leader sindacale dell’UAW Shawn Fain, ai media americani e internazionali, in particolare europei, fino al Presidente degli Stati Uniti Biden, tutti hanno sottolineato che l’accordo raggiunto dopo le sei settimane di sciopero lanciate dal sindacato è una vittoria per i lavoratori, per l’UAW e per il sindacalismo in generale. Anche i dirigenti delle Tre Grandi hanno dichiarato di essere lieti “di aver raggiunto un accordo di principio su un nuovo contratto di lavoro con l’UAW per le nostre attività negli Stati Uniti.” (Jim Farley, Direttore generale della Ford [1]) Quindi tutti sono contenti. Come se non bastasse, Farley si è affrettato a dichiarare che “la realtà è che ci sono costi significativi associati a questo accordo sociale, e che dovremo lavorare molto duramente sulla produttività e sull’efficienza per diventare più competitivi.” [2] La realtà dell’accordo, “storico” secondo Biden, è già un po’ più chiara. L’aumento della produttività e della competitività annunciato dal direttore della Ford dà già un’idea di ciò che l’accordo significherà per i lavoratori. È facile capire perché e come Biden sia “dalla loro parte [dell’UAW] in questa lotta” e sia venuto di persona, e di fronte ai media, a sostenere i picchetti ai cancelli della fabbrica.

Una vittoria per i lavoratori dell’auto?

Tra i vari “guadagni” ottenuti dall’accordo, l’aumento salariale del 25%, distribuito nei quattro anni e mezzo di durata del contratto, ha ricevuto la copertura mediatica internazionale che meritava dal punto di vista borghese dopo oltre un decennio di continui tagli salariali. Ma allora come si spiega che alla fine l’accordo è stato approvato solo da circa il 60% degli iscritti all’UAW che hanno partecipato alla votazione [3] ? In effetti, il 47% degli stessi membri della produzione ha votato contro. Interi stabilimenti di assemblaggio in Michigan, Indiana, Missouri, Tennessee e Kentucky lo hanno respinto, in alcuni casi con il 69% secondo il sito trotskista WSWS. Un operaio dello stabilimento Stellantis di Toledo, citato dallo stesso sito, traduce parte del contenuto dell’accordo nel linguaggio dei lavoratori: “abbiamo due turni e lavoriamo 10 ore al giorno e 50 ore alla settimana. Stanno progettando di passare a tre turni, lavorando otto ore al giorno. Perderemo la paga degli straordinari di cui abbiamo bisogno per arrivare a fine mese.” Tutto ciò ricorda gli anni 1930 e il New Deal: “La NRA ha fissato il salario minimo settimanale a 12 dollari nel Sud e a 13 dollari nel Nord, ma questo minimo diventa un massimo perché non viene stabilito il numero minimo di ore settimanali: un operaio che prima lavorava 48-54 ore a settimana ora lavora solo 35-40 ore; il salario orario viene aumentato, ma il salario complessivo è inferiore a quello pagato in precedenza, pari a 16,71 dollari.” (Bilan #3, Roosevelt au gouvernail, 1934) Cosa è successo nell’immediato? I lavoratori hanno guadagnato qualcosa?

L’aumento del 25% distribuito in più di quattro anni compenserà a malapena la perdita del 22% del potere d’acquisto degli ultimi anni, secondo le fonti ufficiali, a causa dell’esplosione dell’inflazione post-Covid. Inoltre, durante la crisi dell’industria automobilistica statunitense nel 2007, quando la General Motors dichiarò bancarotta, i proletari dell’industria automobilistica videro i loro salari e le loro condizioni di lavoro peggiorare drasticamente. L’amministrazione Obama ha “salvato” la GM e le altre case automobilistiche con un salvataggio finanziario e con i sacrifici per i lavoratori che l’UAW aveva imposto ai suoi membri. Infatti, alla scadenza del nuovo contratto nel 2028, e senza conoscere l’inflazione futura, il salario orario di 40 dollari sarà ancora inferiore a quello del 2007 in dollari costanti. E questo senza considerare le riorganizzazioni annunciate in alcuni stabilimenti. Ovviamente, l’accordo tocca diverse disposizioni che sono difficili da riassumere e presentare – a maggior ragione per i lettori non americani. Ad esempio, il sistema di indicizzazione dei salari all’inflazione (COLA) rimane invariato rispetto al 2007, quindi, senza tenere conto dell’inflazione attuale, le aziende dovranno pagare 0,10 dollari all’ora in meno per coprire l’aumento dei costi dell’assistenza sanitaria. Nel 2007, con la ristrutturazione e il salvataggio dell’azienda da parte del governo, è stato introdotto un doppio sistema di avanzamento di “carriera” (il Tier System). La scala salariale e i livelli pensionistici sono diversi per i nuovi assunzioni. Questo sistema viene mantenuto, così come i sacrifici, anch’essi imposti nel 2007, sulle pensioni e sull’assicurazione sanitaria. Pochi lavoratori temporanei a tempo pieno saranno assunti con contratti locali. Pagati 20 dollari l’ora, sarà forte la “tentazione” dei datori di lavoro di licenziarli prima del periodo di nove mesi dopo il quale dovrebbero avere diritto a un altro status.

Di per sé, quindi, possiamo già constatare che la “vittoria storica” non fa altro che rallentare temporaneamente il deterioramento del potere d’acquisto dei lavoratori in corso da quindici anni; e questo solo per gli attuali impegiati che manterranno il loro posto di lavoro. È facile comprendere le difficoltà dell’UAW nel garantire che il voto obbligatorio, previsto dalla legge, sia a stragrande maggioranza a favore dell’accordo. Ricordiamo che il 95% dei lavoratori aventi diritto al voto aveva votato a favore dello sciopero. E soprattutto, immaginiamo quale sarebbe stato il risultato se l’accordo avesse dovuto essere discusso e votato dalle assemblee generali nei luoghi di lavoro: ci sono pochi dubbi che sarebbe stato respinto nella maggior parte delle fabbriche. In realtà, i proletari dell’industria automobilistica e, con loro, il proletariato americano nel suo complesso, hanno appena subito una nuova battuta d’arresto, una nuova sconfitta – seppur limitata – che si aggiunge a quelle subite durante le mobilitazioni, a volte gli scioperi, dei lavoratori delle ferrovie, degli impiegati della UPS, di Amazon, ecc. negli anni post-Covid. Espressione di una rinascita della combattività proletaria nel paese, queste lotte e mobilitazioni sono state tutte totalmente controllate, inquadrate e rese innocue dai sindacati. I rari guadagni sono stati come l’aumento salariale del 25% in quattro anni che il presidente Biden e l’UAW hanno salutato come una “vittoria storica”.

Il corsetto legislativo e repressivo di qualsiasi lotta operaia coerente

Esaminiamo per un momento le condizioni che lo Stato e la borghesia americani impongono al proletariato per proibire, di fatto, qualsiasi lotta proletaria e, in particolare, qualsiasi tentativo di estendere, generalizzare e unificare la lotta ad altri settori, aziende e talvolta anche all’interno dell’azienda stessa. La legislazione sul lavoro e i diritti sindacali sono stati stabiliti tra lo Stato americano e i sindacati AFL e CIO negli anni Trenta. Il sistema dei “closed-shop” [negozi chiusi] [4] blocca di fatto qualsiasi lotta proletaria significativa. Non possono essere “in solidarietà” o “politici”, e queste qualifiche dipendono dal giudizio di qualsiasi giudice. A parte la partecipazione ai picchetti, organizzati e centralizzati dal sindacato, i proletari non possono riunirsi e formare un’assemblea generale per decidere insieme le azioni da intraprendere, e nemmeno lo sciopero stesso. La legislazione impone avvisi di sciopero molto rigidi e codificati, votazioni “individuali” organizzate dal sindacato a favore o contro lo sciopero, a volte via Internet da “casa”, un periodo di diverse settimane di trattative prima dello sciopero, poi scioperi a rotazione e “a scachierra”, la firma dell’accordo da parte delle aziende e del sindacato che sancisce la fine dello sciopero nel luogo in cui si stava svolgendo, e poi, qualche settimana dopo, il voto individuale e isolato di una parte dei lavoratori, quelli iscritti al sindacato. Di fatto, lo Stato proibisce qualsiasi lotta proletaria che voglia essere efficace e, se necessario, cioè se il sindacato non è in grado di controllare la combattività dei lavoratori come dovrebbe, allora il governo adotta un decreto che dichiara lo sciopero illegale in nome del interesse nazionale o di altro tipo e lancia la repressione aperta.

I proletari non avranno, e non hanno, altra alternativa a questo corsetto di ferro attorno al corpo del proletariato americano se non quella di romperlo con la forza attraverso l’estensione più rapida possibile di tutta lotta di classe, attraverso lo sciopero di massa. Ciò significa opporsi direttamente alla legalità borghese e quindi affrontare altrettanto direttamente lo Stato e i suoi organi nell’ambiente operaio, i sindacati. L’asticella della lotta efficace è quindi alta e rischiosa. Non possiamo approfondire in questa sede i presupposti e la lotta politica – in particolare il ruolo dei raggruppamenti operai in comitati di lotta o meno e delle minoranze comuniste – che l’innesco di una tale dinamica di lotta, anche se esplosa “spontaneamente”, richiede.

La “vittoria” sindacale parte integrante della “Bidenomics”

Ma non è su questo che vogliamo concentrarci in questo articolo. In realtà, e per tornare allo sciopero nel settore automobilistico americano, c’è un aspetto molto più importante nei nuovi contratti firmati tra l’UAW e le Big Three. Essi aprono la strada al passaggio alla produzione di auto elettriche e quindi a una ristrutturazione della forza lavoro. Decine di migliaia di posti di lavoro andranno persi. L’accordo firmato con l’UAW prevede già dei bonus per i lavoratori che accettano di lasciare l’azienda, il prepensionamento e il trasferimento obbligatorio da uno stabilimento all’altro, ovvero da una regione all’altra, per migliaia di lavoratori. Secondo il WSWS, “i nuovi lavoratori dell’impianto di batterie saranno pagati 26 dollari l’ora”, appena al di sopra dei 20 dollari attualmente corrisposti ai lavoratori temporanei. Il ruolo del sindacato, in questo caso dell’UAW, nel sistema americano deve essere rafforzato in questo periodo di transizione industriale. Sebbene il ruolo principale dei sindacati, organi politici dello Stato capitalista, rimanga innanzitutto quello di controllare e sabotare qualsiasi desiderio o dinamica di lotta dei lavoratori, a seconda del momento, essi possono essere ingranaggi importanti in qualsiasi rottura delle politiche industriali che richiedano disciplina e un maggiore sostegno da parte del proletariato, essenziale per queste transizioni verso nuove tecniche di produzione. In questo caso, l’apertura di nuove fabbriche per la produzione di veicoli elettrici richiede una forza lavoro disposta e capace di ’addestrarsi’ alle nuove tecnologie. Come ha sottolineato el Direttore generale della Ford, “non possiamo costruire veicoli negli Stati Uniti senza l’UAW.” [5] In questo senso, sembra che l’onnipotenza dell’ideologia manageriale e della leadership manageriale, che dagli anni Ottanta ha relegato i sindacati e il sindacalismo al solo ruolo di controllo e sabotaggio delle lotte, non sia più sufficiente nei nuovi tempi che corrono e nelle tempeste che minacciano. La classe dirigente americana è chiara su questo punto: “Inoltre, la teoria e l’evidenza empirica sono chiare sui modi in cui i sindacati hanno incrementato in passato, e potrebbero incrementare in futuro, la produttività in modo più sostanziale: aumentando l’effetto della voce dei membri del sindacato e aumentando la felicità e l’attaccamento dei lavoratori al proprio lavoro. I sindacati si trovano in una posizione privilegiata per perseguire questi obiettivi nelle loro trattative e per sottolineare i vantaggi per i lavoratori e i proprietari delle imprese derivanti dalle azioni volte a migliorare la produttività.” [6]

Il discorso da sinistra “a favore della classe media”

In realtà, come ha dimostrato lo sciopero dell’UAW, i tempi nuovi annunciati dalla pandemia di covirus e confermati dalle guerre in Ucraina e in Medio Oriente stanno costringendo la borghesia ad adottare “una nuova filosofia economica”, come ha annunciato Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Biden, nel 2020 [7]. Essa sostiene “il ritorno di uno Stato al servizio della classe media americana.” [8] La borghesia americana, Biden e i democratici in particolare, preferiscono usare il termine classe media piuttosto che classe operaia. Il sostegno di Biden allo sciopero e all’UAW, il suo saluto alla “storica vittoria sindacale” segnano una rottura con il discorso ufficiale che ha prevalso dagli anni di Reagan, anche sotto le presidenze democratiche di Clinton e Obama. In realtà, anche in questo caso Trump aveva già operato una rottura presentandosi come il difensore dei Blue collars [“colletti blu”]. Cosa significa questo linguaggio di sinistra e il sostegno alla middle class lavoratrice? Sarebbe un errore vedere in tutto questo solo una retorica mistificatoria e demagogica – anche se reale – rivolta al proletariato americano, o anche una semplice manovra per conquistare il loro voto per le elezioni presidenziali del 2024. “La persistente disuguaglianza negli Stati Uniti rallenta la crescita economica e rischia di minare la stabilità democratica da cui dipende il nostro successo economico.” [9] Certo, la dimensione politica e ideologica, che mistifica i lavoratori americani, è presente e mira a evitare di riprodurre gli eccessi “antidemocratici” che hanno accompagnato la sconfitta di Trump nelle elezioni del 2020. Ma soprattutto, questo linguaggio “pro classe media” mira a rendere più efficiente l’apparato produttivo del capitale americano e soprattutto la forza lavoro viva, i proletari. Lo scopo delle misure sociali “a favore della classe media” è quello di rendere quest’ultima sia economicamente più efficiente e ideologicamente più disponibile.

“Si tratta di rafforzare i sistemi pubblici che collegano le nostre strade, i nostri ponti, i nostri porti, l’accesso universale a Internet ad alta velocità, Internet ad alta velocità accessibile, una rete elettrica modernizzata, un sistema di trasporti e un sistema elettrico che lavorino insieme verso un futuro senza emissioni di carbonio, nuove scuole e strutture di assistenza all’infanzia che consentano – queste sono le cose che permettono alle persone e ai genitori di lavorare.” [10] L’obiettivo è chiaramente stabilito: far entrare più persone nel mondo del lavoro, e mira a ottenere il sostegno del maggior numero possibile di lavoratori, che la rinascita del sindacalismo senza dubbio incoraggerà.

Questo discorso di sinistra risponde così alla rottura annunciata da Jake Sullivan, tra gli altri, e... dallo stesso Trump, a “modo suo”. E l’esito dello sciopero dell’UAW illustra lo scopo di classe della politica economica di rottura adottata dal governo democratico di Biden.

La fine del neoliberalismo

« Come in passato, gli Stati Uniti devono superare l’ideologia economica dominante degli ultimi decenni (a volte chiamata imperfettamente neoliberalismo) e ripensare al funzionamento dell’economia, agli obiettivi che dovrebbe perseguire e al modo in cui dovrebbe essere ristrutturata per raggiungere tali obiettivi – e questo è un imperativo geopolitico quanto economico. » [11]

Las Bidenomics, come la chiama lo stesso Biden, ha diverse componenti. Appena salito al potere, ha iniziato a mettere in atto piani statali corrispondenti a ciò che lo stesso Jake Sullivan aveva chiesto già nel 2020: “investimenti in infrastrutture, tecnologia, innovazione e istruzione che determineranno la competitività a lungo termine degli Stati Uniti rispetto alla Cina.” [12] Lo scopo del ritorno dello Stato al servizio delle classi medie è quello di ristabilire una forza lavoro efficiente e adatta alle esigenze di difesa del capitale americano di fronte alle sfide che deve affrontare, in particolare l’aumento della potenza economica, politica e soprattutto imperialista e militare della Cina.

L’American Rescue Plan Act approvato nel marzo 2021, non appena Biden è salito al potere, è succeduto al CARES Act approvato sotto Trump per “aiutare le famiglie” sulla scia della pandemia di Covid e del contenimento. “In totale, è stata l’astronomica somma di 5200 miliardi di dollari distribuiti alle famiglie americane durante la Covid-19.” [13] L’Infrastructure Investment and Jobs Act da 1.200 miliardi di dollari, del novembre 2021, è destinato a “rinnovare tutte le infrastrutture legate al traffico (...) la rete di distribuzione dell’acqua potabile, la rete elettrica (...) e l’installazione di Internet a banda larga in tutto il Paese.” Il CHIPS and Science Act, agosto 2022, mira a rilanciare i programmi di ricerca e a relocalizzare la produzione high-tech negli Stati Uniti. Questo programma si concentra in particolare sulla produzione di semiconduttori, o CHIPS, con l’ovvio obiettivo di assicurarne il controllo rispetto alla Cina, che è in ritardo in questo settore – ricordiamo che Taiwan ne è attualmente il principale produttore. Infine, l’Inflation Reduction Act (IRA), il cui scopo ufficiale è garantire la “transizione ecologica” dell’America attraverso sussidi e altre agevolazioni fiscali. Una delle sue priorità è sviluppare la transizione verso veicoli completamente elettrici creando fabbriche di batterie elettriche. Il sindacato UAW ha appena dato il suo appoggio a questi piani e vi partecipa. C’è un’altra ragione per il suo nome: l’inflazione dovrebbe diminuire in seguito all’aumento delle tasse sulle aziende con i redditi più alti e al controllo dei prezzi dei farmaci imposto alle case farmaceutiche. Di conseguenza, la spesa per Medicare – il sistema di sicurezza sociale americano – diminuirà e molti pazienti affetti da malattie croniche potranno essere curati – ovviamente con beneficio per loro – e... tornare ad essere produttivi.

“Infine, sia l’IRA che il CHIPS Act fanno parte di un certo nazionalismo economico delle Bidenomics, che i suoi ideatori hanno pienamente accettato. Nell’aprile 2023, Jake Sullivan ha tenuto un discorso alla Brookings Institution in cui ha illustrato la dimensione internazionale della nuova politica economica statunitense (...) Ha confermato che il principio del libero scambio è stato messo in discussione ai massimi livelli, in contraddizione con le regole dell’OMC. L’IRA contiene forti misure protezionistiche.” [14]

Secondo i canoni del neoliberalismo e dell’ortodossia monetarista, l’abissale indebitamento e il cronico deficit di bilancio degli Stati Uniti non consentirebbero, in teoria, di finanziare tali spese. Ma non è più tempo di bilanci e finanze in pareggio. “I politici dovrebbero riconoscere che il sottoinvestimento è una minaccia per la sicurezza nazionale maggiore del debito pubblico statunitense.” [15] In realtà, a differenza delle altre potenze, in particolare quelle occidentali, solo gli Stati Uniti sono in grado di ignorare il proprio deficit e il proprio debito. Poiché il dollaro rimane la valuta di riserva internazionale, il deficit e il debito degli Stati Uniti sono ampiamente coperti dal resto del mondo, che è costretto a utilizzare il dollaro per la maggior parte del commercio internazionale e i cui capitali sono attratti dai titoli del Tesoro americano. [16] È proprio a questa garrotta del dollaro su tutte le altre potenze che la Cina, e altri paesi intorno a lei, a cominciare dalla Russia, stanno cercando di sottrarsi tentando di imporre i loro scambi reciproci nelle proprie monete. In breve, e per dirla in modo semplice, la Bidenomics sarà ampiamente finanziata dal resto del mondo.

« Bidenomics » o il nuovo New Deal

« È la prima volta dai tempi del New Deal che vengono lanciati investimenti federali di tale portata per rinnovare le infrastrutture del Paese. » [17]

Qui abbiamo quella che storicamente è stata chiamata politica delle grandi opere. Qui sta la rottura. Questa politica delle grandi opere non può non ricordarci la politica del New Deal lanciata da Roosevelt o quella della Germania nazista negli anni 1930, entrambe le quali – tra l’altro, compresi i Fronti Popolari – si preparavano alla guerra sviluppando un’“economia di guerra” e il riarmo. Il New Deal preparò gli Stati Uniti economicamente, ideologicamente e politicamente alla seconda guerra mondiale imperialista. È particolarmente importante ricordare come le politiche roosveltiane conclusero definitivamente il processo storico di integrazione dei sindacati americani, l’AFL e il CIO, nell’apparato statale ai fini della Seconda Guerra Mondiale. È sempre facile e allettante, ma anche pericoloso, intendere gli eventi del presente come una semplice ripetizione del passato e trasformarli in schemi fissi. Eppure ci sono somiglianze evidenti tra il New Deal di ieri e la Bidenomics di oggi. Anche in questo caso sarebbe un errore vedere solo considerazioni economiche. La borghesia americana ha ben chiaro che lo scopo delle Bidenomics è quello di mantenere lo status di superpotenza imperialista americana e di contenere i rivali, oggi soprattutto la Cina. Va ricordato che questa politica di containment [contenimento] era già quella che gli Stati Uniti svilupparono nei confronti del Giappone negli anni 1930, fino a quando quest’ultimo cercò di sfuggire al progressivo soffocamento per la guerra e l’attacco a Pearl Harbour. È anche in parte, e in misura minore, la politica perseguita dagli Stati Uniti nei confronti della Russia, che ha portato la Nato ai confini della Russia e l’ha costretta ad allentare la garrotta invadendo l’Ucraina. In realtà, la politica economica statunitense deve servire a difendere l’imperialismo statunitense. Non è forse proprio questo che accade nella fase di preparazione alla guerra e in tempo di guerra, come hanno dimostrato le prime due guerre mondiali? E questa è la funzione storica del capitalismo di Stato: preparare e garantire la centralizzazione e il controllo dell’apparato produttivo e la coesione sociale e nazionale per la guerra e durante la guerra. E per questo i sindacati sono indispensabili.

“In un mondo simile, è l’economia, almeno quanto qualsiasi altra cosa, che determinerà il successo o il fallimento degli Stati Uniti nella geopolitica (...) La storia colpisce ancora. La crescente competizione con la Cina e i cambiamenti nell’ordine politico ed economico internazionale dovrebbero suscitare un istinto simile nell’establishment della politica estera contemporanea. Gli esperti di sicurezza nazionale di oggi devono superare la filosofia economica neoliberista dominante degli ultimi 40 anni.” [18]

Preparare la guerra imperialista generalizata

Come abbiamo detto, la rottura è avvenuta alla fine del mandato di Obama e con l’elezione di Trump. È stato allora che l’intera borghesia americana, repubblicana e democratica, si è resa conto che la Cina si stava sempre più affermando come il principale rivale commerciale e imperialista, con una forza militare sempre più minacciosa. Lungi dall’essere l’espressione di una perdita di controllo politico dell’apparato statale americano – come molti, comprese le minoranze comuniste, hanno sostenuto – l’elezione di una figura dirompente come Trump indicava la portata della rottura da compiere.

‘Con Trump, le maschere vengono tolte.’ Il suo linguaggio, brutale, volgare, grossolano, offensivo, lontano dal solito linguaggio diplomatico educato, è un linguaggio di guerra, di guerra commerciale, di guerra imperialista e di guerra di classe. ‘Sembra un remake degli anni ’20 e ’30? Sì, 100 anni dopo.’ (The Guardian, 17/1/2017) In poche settimane di presidenza, l’’impensabile e imprevedibile’ Trump è diventato un fattore attivo nell’accelerare la situazione storica e le contraddizioni fondamentali del capitalismo che hanno provocato la sua elezione. Con l’elezione di Trump, la borghesia americana si sta avviando verso una guerra generalizzata.” (Révolution ou guerre #7, Les prolétaires doivent répondre à Trump et à tous les États capitalistes, febbraio 2017 [19])

A quanto pare, la borghesia americana non ha trovato migliore per garantire una rottura storica che la personalità, diciamo così disturbata, di un Trump. Una volta raggiunto questo obiettivo, almeno ideologicamente, e visto lo stato in cui versa oggi il partito repubblicano, solo il partito democratico – storicamente il “partito della guerra” negli Stati Uniti – potrebbe mettere in atto una politica complessiva coerente, in particolare nei confronti del proletariato, di grandi opere. Per esempio, per tenere il seguente discorso, essenziale per cercare di prevenire qualsiasi reazione proletaria, scusi! le classi medie, e per ottenere il sostegno dei lavoratori e delle “minoranze” di ogni tipo:

“Le precedenti trasformazioni economiche degli Stati Uniti non hanno trascinato tutti nella loro scia. Fare in modo diverso questa volta rafforzerà la nostra competitività economica. Sappiamo che, dando priorità all’equità razziale e di genere, possiamo ridurre gli enormi divari di ricchezza e di opportunità e dare il via a una crescita più forte. Sappiamo che investendo in tutta l’America, soprattutto nelle regioni che hanno sofferto per decenni di deindustrializzazione, possiamo evitare ulteriori disallineamenti e polarizzazioni geografiche e liberare una maggiore capacità di innovazione. Inoltre, garantendo a tutti gli standard lavorativi e includendo la voce dei lavoratori nel processo, l’industria americana sarà più resistente a lungo termine.” [20]

Oggi, con lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022, seguita da quella in Medio Oriente, le politiche economiche annunciate e attuate dalle Bidenomics assumono tutto il loro significato storico: bisogna prepararsi al confronto e contenere l’aumento di potenza militare della Cina e dei suoi alleati di oggi, Russia, Iran, Corea del Nord... L’Infrastructure Act, il CHIPS Act e, soprattutto, l’Inflation Act lavorano insieme per preparare la società americana a un confronto imperialista e militare frontale con l’unico rivale in grado – oggi – di formare un polo e, a lungo termine, un blocco imperialista rivale.

In questo senso, le Bidenomics sono un attacco diretto al proletariato americano che mira a sottoporlo all’intensificazione dello sfruttamento per le esigenze di difesa del capitale americano, non più solo economiche, ma ora e soprattutto per le sue esigenze imperialiste e militari. “Le ipotesi del passato hanno portato, tra l’altro, a sconvolgimenti interni e a debolezze e punti ciechi nell’approccio degli Stati Uniti alla Cina. È ora di abbandonarle. La comunità di politica estera deve cercare attivamente un nuovo modello economico. La sicurezza nazionale dell’America dipende da questo.” [21] La prima battaglia significativa dell’offensiva che la borghesia americana deve condurre contro il suo proletariato è stata lo sciopero organizzato dall’UAW nell’industria automobilistica. Lungi dal rappresentare un’avanzata dei lavoratori, questo sciopero ha al contrario rafforzato la presa ideologica e politica del sindacalismo sulla classe operaia, cercando di assoggettare quest’ultima agli imperativi della transizione tecnologica indispensabile per la difesa del capitale nazionale e la preparazione alla guerra. [22] Ci saranno altre battaglie e non c’è ancora niente di fatale. Ma è importante riconoscere questa sconfitta e il suo reale significato storico. Se non altro per mettere in guardia il proletariato internazionale e le minoranze rivoluzionarie e comuniste.

Abbiamo visto che le Bidenomics non fanno altro che proseguire e amplificare la via aperta per la amministrazione Trump. Siamo chiari: un eventuale ritorno di quest’ultimo, o anche di un repubblicano, al potere nelle elezioni del 2024 non metterà in discussione la svolta storica intrapresa dalla borghesia americana. “L’esito delle prossime elezioni presidenziali non cambierà probabilmente il corso di una politica economica che negli Stati Uniti è diventata decisamente post-liberale. L’Unione Europea e il resto del mondo devono continuare ad adattarsi a questa nuova situazione.” [23]

Proprio come negli anni 1930, il New Deal di Roosevelt, con le sue politiche del Fronte Popolare in Europa occidentale, aveva dato il tono alle politiche che tutte le borghesie dei Paesi “democratici” avrebbero perseguito in vista della guerra contro i Paesi “fascisti”. L’odierne Bidenomics, comprese le politiche di “sinistra” a favore della “classe media”, indica la strada da seguire alle borghesie dei vecchi centri storici del capitalismo, soprattutto in Europa occidentale. L’unica differenza è che non hanno l’arma e lo strumento monetario che il dollaro rappresenta – l’euro non è mai riuscito a competere realmente con il dollaro – per aumentare il loro deficit di bilancio e il loro indebitamento senza rischi; e che imporre al proletariato i sacrifici che lo sviluppo dell’economia di guerra comporta sarà senza dubbio ancora più difficile che negli Stati Uniti.

Per quanto riguarda i rivali, Cina, Russia, ecc. il capitale nazionale si è storicamente ed effettivamente sviluppato sulla base dell’economia di guerra con il pretesto di “costruire il socialismo”. In un certo senso, sono già pronti per questo, come sembra dimostrare la capacità della Russia di sostenere la sua guerra in Ucraina. Tuttavia, su entrambi i lati della polarizzazione imperialista, la chiave storica rimane nelle mani del proletariato. Di fronte ad attacchi che la borghesia può solo raddoppiare, sarà in grado di rispondere alla portata degli eventi e al dilemma storico? Questa è la posta in gioco. Per farlo, non deve perdere troppe battaglie come quella appena persa con la “vittoria storica” dell’UAW.

RL, 30 novembre 2023

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Notes:

[3. Molti non hanno partecipato per vari motivi, tra cui gli ostacoli posti dal sindacato e dal governo alla partecipazione di tutti coloro che potevano legalmente partecipare, e la manipolazione delle schede elettorali, o addirittura le pressioni e le minacce del sindacato sui lavoratori che voterebbero “male”. A questo si aggiunge il fatto che molti non possono votare perché non sono iscritti al sindacato e come tali non sono considerati lavoratori dell’azienda, ma piuttosto “interinali”, per usare una categoria di status o di contratto comprensibile al lettore non americano.

[4. Il monopolio delle assunzioni per i soli iscritti al sindacato, che conferisce al sindacato il potere su tutti gli iscritti, in particolare su coloro che si oppongono o contestano la politica sindacale.

[5. Jim Farley, president and chief executive officer [PDG] for Ford, September 29th 2023, https://www.cbsnews.com/detroit/news/ford-ceo-we-cant-build-vehicles-in-the-u-s-without-the-uaw/

[6. US Department of the Treasury, Labor Union and the Middle Class, August 2023

[7. Jake Sullivan, America Needs a New Economic Philosophy, Foreign Policy, février 2020, (https://foreignpolicy.com/2020/02/07/america-needs-a-new-economic-philosophy-foreign-policy-experts-can-help/)

[8. Laurence Nardon, Les Bidenomics : contours et critiques de la nouvelle politique économique américaine, Notes de l’Ifri, Potomac Paper #48.

[9. Brian Deese on Biden’s vision for a twenty-first-century American industrial strategy, Online Event at Atlantic Council, June 23, 2021.

[10. idem, sottolineato da noi.

[11. Jake Sullivan, op.cit., sottolineato da noi.

[12. idem.

[13. Laurence Nardon, op.cit.

[14. idem.

[15. Jake Sullivan, op.cit.

[16. Anche se questa ’attrazione’ è diminuita negli ultimi tempi per motivi che non possiamo approfondire in questa sede.

[17. Laurence Nardon, op.cit.

[18. Jake Sullivan, op.cit.

[19. Non tradotto in italiano.

[20. Brian Deese, op.cit., sottolineato da noi.

[21. Jake Sullivan, op.cit.

[22. In un certo senso, è la risposta borghese alle massicce mobilitazioni proletarie del 2022-2023 in Gran Bretagna e Francia.

[23. Laurence Nardon, op.cit.