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Contro l’individualismo e il spirito di circolo “2.0” degli anni 2020
Negli ultimi anni sta emergendo una nuova generazione di militanti comunisti. Questo fenomeno è stato accelerato dall’angoscia e dalla consapevolezza che il capitalismo non solo non riesce a risolvere le sue contraddizioni economiche, ma soprattutto che sta trascinando l’umanità nel abisso della guerra imperialista generalizzata. Come possono gli individui “coscienti” opporsi a questo esito drammatico se non attraverso la militanza rivoluzionaria e quindi comunista? Questa generazione, categoria relativa che qui utilizziamo per comodità espositiva, è chiamata a costituire il partito mondiale che, armato del programma comunista e delle parole d’ordine dell’insurrezione e della dittatura del proletariato, potrà e avrà il compito di “dirigere” il proletariato in mezzo all’uragano e alle varie battaglie di classe sociale che verranno. Perché, non c’è dubbio, la borghesia è e sarà sempre costretta ad attaccare il proletariato per preparare e marciare verso la guerra.
I periodi in cui il proletariato si mobilita in massa, in particolare i periodi rivoluzionari e persino pre-rivoluzionari, modificano l’atmosfera sociale in cui il partito, o almeno i gruppi comunisti, e i suoi membri vivono e agiscono, rispetto ai periodi in cui le lotte di massa sono rare. In assenza di tali lotte operaie, le forze rivoluzionarie e i loro membri, in quanto militanti comunisti, si trovano più o meno “socialmente” isolati, a volte persino in contrasto con i sentimenti e le opinioni dei singoli proletari. Il risultato, tra l’altro, è che l’impegno individuale dei comunisti – distinto dalla militanza di estrema sinistra [1] – è “socialmente” marginale, anche tra gli operai e i lavoratori sfruttati, e largamente ignorato e incompreso, a volte anche da chi è vicino al militante comunista. Di conseguenza, gli militanti comunisti possono avere difficoltà a collegare la dimensione militante e quella privata della loro vita quotidiana.
Tra i nuovi e giovani compagni ci sono molte domande sul rapporto tra vita militante e vita personale: è possibile impegnarsi nella lotta comunista organizzata e mantenere relazioni affettive con persone non militanti, o addirittura estranee e insensibili al comunismo e all’impegno rivoluzionario? E se sì, in che misura? Cosa si può dire loro e cosa si può condividere con loro? Come si collega la realizzazione dei compiti militanti con la vita familiare e/o professionale? Una relazione sentimentale? L’educazione e la cura dei figli, per esempio?...
Uno stile di vita individuale “conforme” a la lotta per il comunismo
La comprensione del rapporto tra partito e membro è una questione politica a piene titolo che il movimento operaio ha già affrontato e su cui ha già definito principi generali. Non è un caso che, a partire dalla Lega dei Comunisti, le questioni di funzionamento e le regole organizzative che dettano i rapporti all’interno dell’organizzazione politica siano state considerate anche questioni programmatiche. In quanto tali, gli statuti dell’organizzazione comunista devono essere considerati parte integrante della piattaforma politica di qualsiasi gruppo comunista – del partito di domani. Già nel 1847, una delle prime condizioni per l’adesione alla Lega dei Comunisti era che il membro dovesse adottare “un modo di vita e di attività conforme a questo scopo” [2], cioè quello del comunismo.
Fin dall’inizio, si impongono una serie di regole. Per fare un esempio semplice che dovrebbe essere chiaro a tutti, un militante comunista non può essere al servizio della repressione antiproletaria dello Stato capitalista. Un membro di un’organizzazione comunista che sia un ufficiale di polizia o un agente di un servizio di intelligence statale rappresenterebbe un rischio in termini di repressione e infiltrazione per il partito. Ma potrebbe anche trovarsi in aperta contraddizione con qualsiasi forma di convinzione e impegno comunista, per il fatto stesso della sua vita quotidiana e delle attività pratiche che il suo “sostentamento” implica. La situazione sarebbe insostenibile per l’individuo, nel caso altamente improbabile che si ritenga sinceramente come un comunista. Lo stesso vale per altre attività come il traffico di droga, di armi, [3] di esseri umani e così via. La lista non è esaustiva. Include il credo religioso, che può esprimere solo un’incomprensione fondamentale della teoria rivoluzionaria del proletariato, cioè il materialismo storico o il marxismo, o l’appartenenza alla massoneria. Allo stesso modo, l’organizzazione comunista non può accettare tra le sue fila militanti che manifestino opinioni e pratiche apertamente razziste, xenofobe o sessiste, l’uso della violenza fisica in qualsiasi relazione, ecc.
Più complessi da risolvere sono i casi in cui il membro se ha messo nel un’impasse personale che lo porta a impegnarsi in attività dubbie e pericolose nel tentativo di “uscirne”. Ad esempio, un membro che ha lavorato come gangster, o ha debiti di gioco, o ha dovuto prostituirsi, per sopravvivere o meno. Purtroppo queste situazioni si sono verificate e senza dubbio si ripeteranno in futuro. Oppure, altra situazione difficile da gestire per il membro e per l’organizzazione, il primo ha nella sua cerchia ristretta, famiglia, amici, lavoro, individui appartenenti alla polizia, alla malavita, o anche membri attivi – leader in particolare – di partiti politici borghesi. La misura in cui il militante comunista riesce a non parlare, no delle suoi “idee politiche” in sé, ma del suo impegno e della sua attività militante in un’organizzazione comunista, rimane un problema e una preoccupazione permanente.
Quando si verificano queste situazioni individuali, l’organizzazione è tenuta ad affrontarle e ad aiutare – e proteggere – il membro a reagire o a uscirne. Spesso può farlo solo con ritardo, perché il membro è riluttante a confidarsi con l’organizzazione e spera ancora di uscirne in un modo o nell’altro. Si presentano allora due pericoli per il tutto che è l’organizzazione: il primo è che il membro si trovi soggetto a ricatti, in particolare da parte delle forze repressive dello Stato; il secondo è che si indeboliscano fortemente, se non si distruggano, le sue convinzioni politiche e militanti. Tanto più che è possibile, a volte, ma non sempre, per il collettivo dell’organizzazione comunista, prevenire e aiutare i membri a non trovarsi in tali impasse personali, che possono essere solo catastrofiche sia per il individuo “persona privata” – o anche per i suoi parenti – che per il militante comunista. Ecco perché ogni adesione e integrazione in un’organizzazione comunista deve passare attraverso un processo sistematico non solo di chiarimento e verifica politica dell’accordo dell’aspirante membro con le posizioni programmatiche e gli orientamenti generali dell’organizzazione, ma anche del significato dell’impegno militante, delle regole e degli statuti dell’organizzazione, delle condizioni e dello stile di vita del compagno. E questo per la sicurezza dell’organizzazione e per il futuro del militante comunista al suo interno, della sua volontà militante e delle sue convinzioni politiche.
Ma il principio che guida la risoluzione di questi casi eccezionali e particolari, a volte dolorosi e gravissimi, non basta a chiarire ed esporre il rapporto tra le diverse dimensioni della vita individuale del militante comunista. Dall’esperienza del movimento operaio, il marxismo ha definito tutta una serie di regole sul partito politico proletario che hanno valore di principio. Per il lettore che volesse riappropriarsi e verificare la validità dei principi comunisti in questo ambito, ricordiamo il filo continuo della lotta tra le forze che Lenin definiva pro-partito e anti-partito nel corso della storia del comunismo. Essa iniziò seriamente con la lotta di Marx ed Engels all’interno della Lega dei Comunisti contro le sette proletarie dell’epoca, e all’interno della Prima Internazionale, l’AIT, contro l’anarchismo. “La storia dell’Internazionale è stata una lotta incessante del Consiglio Generale contro le sette e i tentativi dei dilettanti che cercavano, in contrasto con il movimento reale della classe operaia, di affermarsi all’interno dell’Internazionale stessa.” [4] Essa continuò poi all’interno della 2a Internazionale su almeno due piani: quello del rapporto del partito con le sue frazioni parlamentari, che cercavano l’autonomia, e quello contro i circoli che Lenin guidava nel Partito Socialdemocratico Russo – il suo pamphlet Un passo avanti, due passi indietro fu un momento essenziale della lotta storica per il partito politico proletario. Segue la lotta congiunta del Partito bolscevico e di quella che allora era ancora la Frazione astensionista del Partito socialista d’Italia, la cosiddetta “Sinistra d’Italia”, per l’adozione e il rispetto delle 21 condizioni di ammissione all’Internazionale comunista. Infine, prosegue con la lotta di questa Sinistra, prima di diventare una frazione del PC d’Italia, e poi, negli anni Venti, contro il bolscevismo zinovievista che aprì la strada alla stalinizzazione dei partiti comunisti dell’epoca.
Successivamente, le correnti cosiddette “bordigista” e “damenista” [5], beneficiarono di una diretta continuità organica con il Partito Comunista d’Italia e la sua frazione di sinistra. Senza dubbio è per questo che sono tornate su questi temi solo in poche occasioni. Da parte sua, la Corrente Comunista Internazionale, nata direttamente dal ’68 e influenzata dall’individualismo caratteristico del clima di contestazione studentesca dell’epoca, fu costretta a condurre una serie di dibattiti e lotte interne sulla questione organizzativa, in particolare durante le suoi successive crisi organizzative. Il risultato fu una serie di testi che il lettore può trovare nella sua Rivista internazionale.
Prima di approfondire il nostro tema, le diverse dimensioni della vita del militante comunista, è quindi opportuno ricordare in modo molto generale i grandi principi che definiscono le relazioni militanti e in quale quadro storico o di lotta esse devono svolgersi.
Il proletariato come classe produce organizzazioni comuniste, non individui comunisti.
Nell’assegnare al partito rivoluzionario il suo posto ed il suo compito nella palingenesi della società, la dottrina marxista fornisce la più brillante delle risoluzioni al problema della libertà e della determinazione nella attività dell’uomo. Riferito all’astrazione «individuo» tale problema fornirà ancora per lungo tempo materiale alle elucubrazioni metafisiche dei filosofi della classe dominante e decadente. Il marxismo lo pone nella giusta luce di una concezione scientifica ed oggettiva della società e della storia. Come è lontanissima dalla nostra concezione l’opinione che l’individuo, e un individuo, agisca sull’ambiente esterno deformandolo e plasmandolo a suo piacere e per una potenza d’iniziativa trasmessagli da una virtù di tipo divino, così è per noi condannabile la concezione volontaristica del partito, secondo cui un piccolo gruppo di uomini, forgiatasi una professione di fede, la diffondono e la impongono al mondo con uno sforzo gigantesco di volontà, di attività, di eroismo.” [6]
Storicamente, la classe proletaria “da cui nasce la coscienza della necessità della rivoluzione radicale, coscienza che è coscienza comunista” [7] non produce individui rivoluzionari, ma organizzazioni politiche a cui affida i militanti che vi aderiscono e le compongono. In questo senso, l’organizzazione, il tutto, permette al militante, a condizione che si integri nell’attività rivoluzionaria del corpo collettivo, di andare oltre la propria singolarità. Così facendo, il membro attivo, nell’azione collettiva, diventa un prodotto e un’espressione del tutto dell’organizzazione e della lotta permanente per la sua unità, proprio come qualsiasi altra parte dell’organizzazione, sezione locale o territoriale, organi centrali, ecc. Il risultato è che il tutto, il partito o il gruppo comunista, ha la precedenza sul singolo militante. L’implicazione politica di questa posizione è che il partito o l’organizzazione non sono al servizio del militante, ma che il militante è al servizio del collettivo. Ad esempio, l’organizzazione politica proletaria non ha alcuna concezione di scuola educativa, né alcun dovere particolare per la formazione teorica individuale e lo sviluppo dei suoi membri. D’altra parte, ha la responsabilità di guidare e garantire la riappropriazione e l’approfondimento teorico e politico del tutto, per la sua lotta permanente di chiarificazione teorico-politica e per la sua unità politica.
In quanto espressione e materializzazione della coscienza comunista, le posizioni programmatiche dell’organizzazione comunista, del partito, non sono la somma delle posizioni individuali di ciascuno dei suoi membri, né il prodotto di questo o quel pensiero di un singolo comunista o di una somma di singoli comunisti, e nemmeno di una successione di pensatori comunisti particolarmente brillanti. Sono innanzitutto il prodotto storico della lotta proletaria che le minoranze comuniste – le massime espressioni della coscienza di classe – hanno raccolto e sintetizzato fin dal Manifesto comunista. Il loro compito è quello di propagare questa coscienza di classe nelle file dei lavoratori e di assicurare la direzione politica della lotta proletaria. Questa visione non significa che il ruolo del singolo militante si possa riassumere semplicemente nella riappropriazione – indispensabile – delle posizioni programmatiche. [8] Il membro deve partecipare alla loro verifica ed elaborazione collettiva. In questo senso, pur potendo e dovendo dare un contributo individuale che non può essere negato o rifiutato, esso può essere dato solo nel quadro del patrimonio storico e nel quadro organizzato e collettivo dell’organizzazione militante comunista.
Salvo rare eccezioni storiche che corrispondono a un periodo passato del capitalismo, le energie individuali possono trovare il loro campo d’azione e il loro ruolo solo all’interno del quadro formale del partito o dell’organizzazione comunista, espressione materiale di questo tutto. Gli individui con posizioni rivoluzionarie possono esistere ai margini delle organizzazioni politiche comuniste. Quelli che ancora oggi possono apparire come tali sono stati quasi tutti membri di gruppi della Sinistra Comunista o di altri, che alla fine hanno lasciato per un motivo o per l’altro. Le posizioni politiche che possono difendere sono esse stesse il prodotto dell’esperienza storica del proletariato, che possono aver acquisito attraverso la loro permanenza nelle organizzazioni comuniste o attraverso il loro riferimento diretto o indiretto ad esse. Ma l’esistenza di individui rivoluzionari non organizzati può essere solo temporanea e circostanziale. Prima o poi, in un modo o nell’altro, questi individui sono obbligati ad agganciarsi e a fare riferimento a un quadro programmatico e a una corrente storica comunista se vogliono mantenere la loro convinzione comunista e un minimo di volontà militante. Altrimenti, sono condannati a la giustificazione de ordine individualista il loro rifiuto di partecipare a un collettivo organizzato e militante, e quindi o a prendere le distanze dalle posizioni rivoluzionarie, o a demoralizzarsi e, alla lunga, a scomparire come militanti proletari effettivi. “Possiamo anche vedere, da queste discussioni, quanto Feuerbach si sbagli quando (...) si proclama comunista e trasforma questo nome in un predicato dell’Uomo, credendo così di poter ritrasformare in una semplice categoria il termine comunista che, nel mondo di oggi, designa l’aderente a un determinato partito rivoluzionario.” [9]
Le posizioni odierne della Sinistra comunista sono il risultato di un intero lavoro svolto da generazioni successive di rivoluzionari, o più precisamente di organizzazioni, gruppi e partiti comunisti. Di per sé, non ha senso “rifare un lavoro che è già stato fatto”.
“Totalmente erronea sarebbe quella concezione dell’organismo di partito che si fondasse sulla richiesta di una perfetta coscienza critica e di un complete spirito di sacrificio in ciascuno dei suoi aderenti singolarmente considerate.” [10]
Da qui il lavoro di riappropriazione, che si differenzia dal metodo di chi vuole scoprire tutto da solo. È impossibile oggi per i singoli militanti riuscire a “riscoprire” e rifare da soli l’intero percorso teorico e politico compiuto a partire dal Manifesto. Il compito è immenso e non basterebbe una vita intera. Ecco perché, per fare un esempio, è inutile che un membro del partito voglia leggere e rileggere tutto il Capitale prima di poter formulare una posizione politica su questa o quella questione legata alla critica marxista dell’economia politica. Un tale metodo non può che portare a una riappropriazione incompleta con conseguenze politiche errate. Questo non significa che non invitiamo e non incoraggiamo con forza tutti i compagni, e non incoraggeremo con altrettanta forza i membri del partito domani, a leggere e rileggere i testi teorici e programmatici classici del movimento operaio, a partire del Capitale. Ma l’approccio accademico di dire che non si può prendere una posizione politica, o addirittura che non ci si può impegnare come militanti, finché non si sono letti tutti i testi di K. Marx non può che portare a un approccio accademico individualista e all’impotenza e alla rinuncia dei militanti. È attraverso la partecipazione attiva all’azione rivoluzionaria dell’organizzazione comunista nel suo complesso che il militante può “formarsi” teoricamente e politicamente e acquisire esperienza militante.
La partecipazione dei membri all’attività collettiva del partito
Queste considerazioni e regole generali sul rapporto partito-organizzazione comunisti e membro-militante, in particolare la dimensione collettiva e, in linea di principio, “impersonale” dell’impegno comunista, ha molteplici implicazioni politiche per la questione del partito e del suo funzionamento da un lato, e del rapporto dei membri con entrambi dall’altro. Si basa e si sviluppa su una critica dell’ideologia e della mistificazione borghese dell’individuo-re, dell’unità-individuo, e rifiuta tutte le forme di individualismo – e di sfuggita dell’ideologia e della mistificazione democratica.
L’unità individuo può essere pensata come un elemento di deduzioni e di costruzioni sociali, o se si vuole di negazione della società, solo partendo da un presupposto irreale che in fondo anche in formulazioni modernissime non è che una diversa riproduzione dei concetti della rivelazione religiosa, della creazione, e dell’indipendenza di una vita spirituale dai fatti della vita naturale e organica. Ad ogni individuo la divinità creatrice o una forza unica governatrice delle sorti del mondo ha dato questa investitura elementare che ne fa una molecola autonoma, ben definita, cosciente, volente, responsabile, dell’aggregato sociale, indipendentemente dagli accidenti sovrapposti delle influenze fisiche dell’ambiente: questo concetto religioso e idealistico non è che modificato nelle apparenze quando si edifica la concezione del liberalismo democratico o dell’individualismo libertario: l’anima come scintilla accesa del supreme Ente, la sovranità soggettiva di ciascun elettore, o la illimitata autonomia del cittadino della società senza leggi, sono filosofemi che peccano della stessa infantilità innanzi alla critica, per risoluto che sia il «materialismo» dei primi liberali borghesi e degli anarchici.” [11]
Qualsiasi azione o lotta del proletariato è essenzialmente collettiva. “In presenza della forza del capitale, la forza umana individuale è scomparsa; in una fabbrica l’operaio non è altro che un ingranaggio della macchina. Per recuperare la sua individualità, l’operaio ha dovuto unirsi, formare associazioni per difendere il suo salario, la sua vita.” [12] E questo collettivo, nell’azione, nella lotta, supera di gran lunga in un’unità “superiore”, di classe, la semplice addizione di individui proletari, la semplice addizione del loro pensiero o volontà individuale. Ogni sciopero o lotta operaia significa il superamento dei singoli proletari nell’azione collettiva, senza la quale lo sciopero o la lotta si estinguono. “Il proletario è nulla fino a che rimane un individuo isolato. Tutta la sua forza, tutta la sua capacità di progresso, tutte le sue speranze e attese le attinge dall’organizzazione, dalla metodica attività concertata con i suoi compagni. Egli si sente grande e forte quando è parte di una grande e forte organismo. Quest’organismo è tutto per lui, mentre l’individuo isolato significa, in confronto, molto poco.” [13]
Lo stesso vale per il partito e le organizzazioni comuniste, che rappresentano e vanno ben oltre le coscienze e le volontà politiche e militanti di ciascuno dei loro membri, se non altro per la dimensione universale, storica e internazionale del programma comunista e delle posizioni e degli orientamenti che ne derivano. “La integrazione di tutte le spinte elementari in una azione unitaria si manifesta attraverso due principali fattori: uno di coscienza critica, da! quale il partito trae il suo programma, l’altro di volontà che si esprime nello strumento con cui il partito agisce, la sua disciplinata e centralizzata organizzazione. Questi due fattori di coscienza e di volontà sarebbe erroneo considerarli come facoltà che si possano ottenere o si debbano pretendere dai singoli poiché si realizzano solo per la integrazione dell’attività di molti individui in un organismo collettivo unitario.” [14] Il singolo militante è quindi solo il portavoce, o la penna quando scrive, di posizioni politiche prodotte non dal suo pensiero, ma dall’intera storia del proletariato. Deve rifiutare qualsiasi concezione della sua individualità militante come un tutto individuale. Deve invece vedersi come membro di un tutto collettivo.
Che queste posizioni siano espresse e difese più o meno chiaramente, che siano più o meno corrette, dal militante incaricato – direttamente o no – dell’intervento dell’organizzazione non cambia nulla. Quando interviene in un’assemblea operaia o in una riunione politica, il militante – preferibilmente la delegazione di militanti – è solo lo strumento a disposizione dell’organizzazione comunista per realizzare un intervento di partito. Questo non significa che sia solo un robot che ripete formule di partito. Ma è solo nella misura in cui l’organizzazione politica è stata in grado di definire, sulla base del suo quadro programmatico, i giusti orientamenti e nella misura in cui il singolo militante è stato in grado di farli propri, anche partecipando e contribuendo alla loro definizione ed elaborazione all’interno del quadro collettivo, che può assumere al meglio il ruolo di intervento di partito.
Il partito non si aspetta che tutti i suoi membri abbiano la stessa capacità di impegno, di “lavoro” o di tempo da dedicare all’organizzazione, né che tutti abbiano le stesse qualità “politiche” ed educative. Uno avrà capacità di scrittura che l’altro non avrà. L’altro sarà in grado di parlare in una riunione o in un incontro pubblico. Altri avranno maggiori capacità organizzative, e così via. Non c’è e non può esserci uguaglianza assoluta tra le capacità e la partecipazione effettiva dei membri del partito, così come non può esserci uguaglianza di impegno in uno sciopero tra i diversi proletari che vi partecipano. La concezione dell’organizzazione comunista per quanto riguarda la partecipazione individuale dei suoi membri ai compiti si basa sul principio "ognuno secondo le sue capacità." La capacità dell’organizzazione in partito – basata cioè innanzitutto sul programma comunista e sulle posizioni politiche che ne derivano – di utilizzare le capacità individuali permette di andare oltre la semplice somma delle capacità individuali dei suoi membri e di trasformarle in una forza storica. Lungi dal partire dall’unità-individuo, il partito o l’organizzazione comunista parte dall’unità-partito, passando attraverso le sue diverse parti, ossia le sezioni locali come cellule di base, gli organi centrali a tutti i livelli e i singoli membri, per arrivare non all’unità-individuo, ma all’unità-partito.
Contro il mantenimento dello spirito e dei metodi del circolo
La lotta contro l’individualismo è quindi una lotta storica e permanente per i comunisti, in particolare all’interno delle organizzazioni politiche proletarie. Nel corso della storia del movimento operaio, l’individualismo si è espresso in una forma o nell’altra, in particolare durante il periodo delle sette e dei circoli. “Lo sviluppo delle sette socialiste e quello del movimento operaio reale sono sempre in relazione inversa. Finché le sette si giustificano (storicamente), la classe operaia non è ancora abbastanza matura per un movimento storico autonomo. Non appena raggiunge questa maturità, tutte le sette sono essenzialmente reazionarie.” [15] La lotta di Lenin al 2° Congresso del POSDR, a cui è dedicato il suo opuscolo Un passo avanti, due indietro, era finalizzata alla costituzione di un vero e proprio partito che, fino ad allora, era stato costituito da circoli, cioè da raggruppamenti più o meno formali basati essenzialmente, o principalmente, su legami personali o addirittura di amicizia. “La questione controversa si riduce dunque al dilemma: spirito di circolo o spirito di partito?” [16]
Ci sembra possibile e utile fare un parallelo tra la realtà dell’attuale campo proletario e quella delle forze rivoluzionarie che allora cercavano di creare “vere e proprie organismi ufficiali del Partito”. Materialmente, numericamente, l’intero campo proletario di oggi, a partire dalle sue principali organizzazioni, raggruppa una minuscola minoranza di membri, i più vecchi dei quali si conoscono personalmente da decenni e che sono rimasti, e rimangono tuttora, molto isolati dalla loro classe. Rimane in gran parte segnato dalle condizioni della sua nascita nel periodo successivo al 1968 e agli anni Settanta, in particolare dai resti dello spirito di circolo che persiste ancora oggi. Questa generazione – o ciò che ne rimane oggi – ha il compito, prima di scomparire, di passare il testimone alla nuova generazione che sta emergendo e tende a raggrupparsi. Quest’ultima soffre ancora di più delle pratiche individualiste insite nell’emergere dei nuovi media, di Internet e delle reti sociali, che l’ideologia borghese riprende e diffonde per rafforzare la frammentazione sociale e l’individualismo in generale. Come non riconoscere la realtà dei raggruppamenti, dei dibattiti e dei circoli di discussione propri dei social network di oggi nelle seguenti pratiche criticate da Lenin nel 1903?
“...il partito era costituito di singoli circoli, non uniti tra loro da alcun vincolo organizzativo. Il passagio da un circolo all’altro dipendeva esclusivamente dal ‘buon volere’ di questo o quell’individuo, che non aveva di fronte a sé nessuna espressione precisa della volontà del tutto. Le questioni controverse in seno ai circoli [possiamo specificare per oggi, sui social network] venivano decise non secondo lo statuto, ‘ma con la lotta e la minaccia di andarsene’.” [17]
Chiunque frequenti o abbia frequentato i social network non può non riconoscere la schiacciante predominanza del metodo e dello spirito de circolo sulle reti. Nessun vero dibattito. Nessuna vera polemica. Nessun confronto aperto e argomentato di posizioni divergenti. Chiunque esprima una posizione divergente viene cancellato dalla lista degli iscritti senza ulteriori appelli. Le formule sono altrettanto radicali, persino magniloquenti, ma prive di qualsiasi significato pratico, cioè politico e di classe. Peggio ancora, il formalismo di organizzazione viene distrutto se qualcuno cerca di imporlo. Nessuno statuto. Nessun programma. Nessun rapporto o valutazione delle discussioni. Nessuna conclusione dei dibattiti con una posizione collettiva attraverso una risoluzione organizzativa o di altro tipo. Nessuna centralizzazione politica effettiva delle discussioni e dei dibattiti. Gli individui sono liberi di pensare e dire tutto ciò che viene loro in mente. Devono rendere conto solo a se stessi o al loro smartphone, o al massimo alla loro cerchia, scusate, alla loro rete. Alla fine, i criteri di selezione non sono politici ma personali. La contrapposizione tra spirito di circolo e spirito di partito si può riassumere in fedeltà agli amici e ai compagni o fedeltà alle posizioni e ai principi comunisti e quindi alle proprie convinzioni politiche. [18]
Come corollario, la pratica dei riunione video tende purtroppo a sostituire gli incontri fisici. Al contrario, non abbiamo nulla contro l’organizzazione di incontri video tra compagni isolati, soprattutto a livello internazionale, che non possono incontrarsi nello stesso luogo. D’altra parte, il fatto che gli militanti non facciano più lo sforzo, e lo considerino addirittura superfluo, di spostarsi e partecipare a incontri fisici, o “faccia a faccia”, è un passo indietro rispetto a una conquista e a un principio organizzativo del movimento operaio. [19] Ma che senso ha uscire di casa per andare a una riunione della sezione locale, prendere carta e penna, o anche un microcomputer per prendere appunti, e fare lo sforzo di recarsi nel luogo in cui si tiene? Quando si può tenere a casa propria, in video, con il proprio smartphone. Quando si può stare al caldo – o al fresco, a seconda della stagione – a casa dopo una giornata di lavoro. O quando non si deve “sacrificare” una parte del weekend con la famiglia o gli amici per una riunione. Soprattutto se la riunione video consente di occuparsi contemporaneamente della famiglia, di badare ai bambini o di tenere d’occhio la lavatrice.
In questo modo, la cellula di base di ogni organizzazione comunista, che dà ritmo alla vita della militanza comunista e alla vita politica del corpo collettivo, la sezione locale settimanale, scompare. Si dissolve. Quel momento privilegiato che è la riunione locale, indispensabile alla vita politica e alla circolazione del sangue nell’organismo, non c’è più. Il momento privilegiato per ogni singolo militante, l’incontro con i compagni, che lo rende parte integrante dell’organizzazione, non c’è più. Non è più il momento in cui, a differenza di altri momenti della vita personale – lavoro, famiglia, ecc. – il militante può dedicarsi interamente, senza riserve, senza impedimenti, senza dispersioni, per poche ore, all’attività militante collettiva e dare il meglio di sé per l’organizzazione e la lotta comune. Non c’è più questo momento particolare in cui il militante comunista può rendersi conto concretamente di cosa significhi mettere l’impegno comunista al centro della propria vita – non diciamo tutta la vita e tutto il tempo – e quindi, oltre a dare vita alla propria organizzazione, rafforzare, consolidare e dare vita alle proprie convinzioni politiche e militanti.
Il pericolo della penetrazione dell’ideologia individualista e democratica di Internet non minaccia solo le forze comuniste. I recenti scioperi negli Stati Uniti, all’UPS, nell’industria automobilistica, lo sciopero del settore pubblico in Quebec, si sono tutti conclusi con votazioni, a favore o contro gli accordi firmati dai sindacati, via Internet. Un’“assemblea” in videoconferenza ha riunito 4.000 lavoratori dell’istruzione in Quebec! Ognuno a casa! Oltre al controllo totale dei sindacati che organizzano la videoconferenza, che permette loro di manovrare nel caso in cui il voto non sia di loro gradimento, il fatto di rimanere a casa non solo rende impossibile un vero e proprio “dibattito” in contraddittorio sulla lotta stessa, in questo caso sul valore dell’accordo salariale e sulla direzione e le modalità dello sciopero stesso, ma ancor meno fa sì che i lavoratori possano “sentire” la forza e la vitalità del loro collettivo, che possano rendersi conto che, uniti nella lotta, sono molto più di una somma di voti a favore o contro.
L’informalismo e l’individualismo insiti nei social network e negli smartphone rafforzano il pericolo dei circoli e lo spirito di circolo. Le concessioni organizzative e militanti che le principali organizzazioni comuniste fanno per “abitudine” [20], per facilità e immediatismo [21], all’informalismo e all’individualismo insiti nei media di Internet rappresentano un ostacolo all’indispensabile sforzo di riappropriazione teorica, politica, organizzativa e militante che le giovani generazioni devono compiere. Lo stesso vale, almeno in larga misura, per la generazione precedente, quella che deve passare il testimone e che, per la stragrande maggioranza, li ha più o meno trascurati o messi da parte. In particolare, i gruppi della Sinistra comunista devono riappropriarsi e mettere in pratica le lezioni apprese dal movimento operaio per lottare contro il mantenimento dello spirito di circolo nelle file del campo proletario e delle sue organizzazioni. In Un passo avanti, due indietro, Lenin e la frazione bolscevica contrapponevano il metodo di partito a quello del circolo.
Il vincolo esistente in seno a un circolo o tra i diversi circoli non doveva avere una forma ben definita, giacché poggiava sull’amicizia o su una ‘fiducia’ istintiva [“incontrollata”, dice la versione francese], immotivata. Il vincolo di partito no può e non deve reggersi né sull’una né sull’altra, deve basarsi precisamente su uno statuto formale, ‘burocraticamente’ (dal punto di vista dell’intellettuale non soggetto a disciplina) redatto, e soltanto la sua rigida applicazione ci garantisce contro l’arbitrio dei circoli, contro i metodi, propri dei circoli, di quella baruffa che viene chiamata libero ‘processo’ della lotta ideale [“ideologica” dice la versione francese]. (…) Quando era solo membro di un circolo (…) avevo il diritto di giustificare, per esempio, il mio rifiuto di lavorare con X, richiamandomi unicamente a una sfiducia istintiva [“incontrollata”] e immotivata. Una volta diventato membro del partito, non ho più il diritto di richiamarmi unicamente a una vaga sfiducia, perché un simile richiamo spalancherebbe le porte ad ogni sorta di capricci e di arbitri del vecchio sistema dei circoli; ho l’obbligo di motivare la mia ‘fiducia’ o ‘sfiducia’ con un argomento formale, richiamandomi cioè a questa o a quella tesi, formalmente stabilita, del nostro programma, della nostra tattica, del nostro statuto.” [22]
Per noi questo metodo di partito, che si oppone a quello dei “vecchi” circoli e degli attuali “circoli 2.0”, è una questione di principio. Il membro dell’organizzazione, come qualsiasi altra parte dell’organizzazione, compresi gli organi centrali, non è libero di “pensare ciò che vuole”. Lo stalinismo, ampiamente ripreso da tutte le forme di estrema sinistra, ha completamente snaturato il rapporto dal militante al partito. Non si può vietare agli individui, anche solo perché sarebbe vano, di avere pensieri e posizioni politiche e di credere che siano frutto del loro cervello. D’altra parte, il militante comunista è responsabile e deve rendere conto alla sua organizzazione, così come questa lo è al proletariato internazionale. Non si tratta di imporre una disciplina formale, un decreto o uno statuto organizzativo, ai militanti affinché pensino “come devono”. Ancor meno si tratta di costringere un membro che non è d’accordo con la posizione del partito a difenderla “per disciplina”, come il bolscevismo zinovievista stabilì all’interno dei partiti dell’Internazionale all’inizio degli anni Venti e come lo stalinismo sviluppò in seguito fino alla caricatura – drammatica e sanguinosa. A parte il fatto che la difesa della posizione sarà meno efficace dal punto di vista del tutto, dell’organizzazione politica, o addirittura totalmente controproducente, se il militante incaricato di intervenire non la condivide. La difesa di una posizione politica con cui non è d’accordo per disciplina non può che portare all’indebolimento e alla definitiva distruzione delle sue convinzioni politiche e militanti. [23]
Il singolo militante, quindi membro dell’organizzazione, così come qualsiasi altra parte di essa, compresi gli organi centrali, come abbiamo detto, deve sempre fare riferimento al programma, alla piattaforma politica dell’organizzazione a cui ha aderito, e alle sue posizioni e orientamenti adottati nei congressi o in altre assemblee generali quando esprime posizioni particolari o divergenti. Può accadere che un militante, o un gruppo di militanti, finisca per adottare una posizione particolare che può, in misura maggiore o minore, mettere in discussione un punto o un passaggio particolare della piattaforma politica del gruppo, o un orientamento o una posizione adottata dall’organizzazione. Se da un lato l’organizzazione non può “vietare” l’esistenza di questa posizione in nome di un rispetto – che sarebbe assoluto e dogmatico – della piattaforma, dall’altro deve sottolineare che è contraria ad essa e invitare il membro, o il gruppo di militanti, che la difende a fare riferimento al documento storico che è la piattaforma o a qualsiasi altro testo programmatico – anche a costo di metterla in discussione, o addirittura di lasciare l’organizzazione se non si riesce a convincerla a cambiare la piattaforma.
Oggi, in un momento in cui una nuova generazione di militanti tende a emergere e a raggrupparsi intorno alla Sinistra Comunista, e persino a entrare nelle organizzazioni che la compongono, la lotta contro il mantenimento dello spirito e del metodo di circolo e contro la resistenza alla transizione verso lo spirito e il metodo di partito sta diventando una priorità. O i gruppi comunisti di oggi riusciranno a superare le loro debolezze storiche in questo campo e a resistere alle sirene dell’immediatismo, e in particolare a quelle dello spirito di circolo 2.0, o si lasceranno trascinare sulla china fatale e dissolutiva dell’individualismo e dell’informalismo. I tamburi della guerra generalizzata battono sempre più forte. Il tempo comincia a scorre.
Il rapporto tra la vita militante e la vita personale del membro dell’organizzazione comunista
Ma torniamo al punto iniziale. Le difficoltà che il militante comunista può incontrare nella sua vita quotidiana nel gestire o combinare il suo impegno politico e i vari aspetti della sua vita personale devono essere affrontati sia:
a partire dalle regole o dai principi generali che guidano il rapporto del membro con l’organizzazione ;
e nel quadro della continua lotta contro l’individualismo e lo spirito di circolo, in particolare nell’era di Internet e dei social network e della presa sempre più totalitaria del capitalismo di Stato in tutti i settori della vita sociale.
Come abbiamo detto, l’organizzazione politica non è al servizio del membro. La sua funzione e il suo scopo non sono quindi quelli di risolvere le difficoltà personali e quotidiane dei suoi membri. Tuttavia, è obbligata a tenere conto della realtà effettiva delle sue forze, quelle su cui può contare per svolgere un determinato compito in un determinato momento e in una determinata occasione. Non può quindi negare, o trascurare, che i membri possano attraversare periodi e momenti in cui il loro impegno e la loro mobilitazione militante devono essere combinati con, o addirittura limitati o talvolta “sospesi” da, varie difficoltà nella vita personale dei membri.
Accade quindi spesso che le due dimensioni siano vissute e sentite come contraddittorie dal singolo membro. Se rimaniamo al livello dell’unità-individuo, la tentazione di eliminare uno dei due termini di quella che è vissuta come una contraddizione personale è grande. Sacrificare, o almeno “trascurare”, la dimensione di vita personale per svolgere il compito militante e quindi “risolvere” la contraddizione. Oppure sacrificare, o almeno “trascurare”, il compito militante per preservare la propria vita personale, familiare, affettiva o altro. Entrambe le due opzioni hanno in comune il fatto che sembrano risolvere la difficoltà eliminando uno dei due termini della contraddizione invece di superarla. La conseguenza, se non la causa, è una incomprensione della natura dell’impegno comunista individuale, che si esprime o in una sorta di militanza sacrificale o integrale che porta a una visione e a una pratica militante volontaristica e attivista, o in una visione e una pratica militante dilettantistica che porta a una visione e a una pratica militante fatalistica.
Per queste considerazioni il concetto marxista del partito e della sua azione rifugge, come abbiamo enunciato, così dal fatalismo, passivo aspettatore di fenomeni su cui non si sente di influire in modo diretto, come da ogni concezione volontaristica nel senso individuale, secondo cui le qualità di preparazione teoretica, forza di volontà, spirito di sacrificio, insomma uno speciale tipo di figura morale ed un requisito di «purezza» siano da chiedersi indistintamente ad ogni singolo militante del partito, riducendo questo ad una élite distinta e superiore al restante degli elementi sociali che compongono la classe operaia; mentre l’errore fatalista e passivistico condurrebbe, se non a negare la funzione e l’utilità del partito, almeno ad adagiarlo senz’altro sulla classe proletaria intesa nel senso economico, statistico. Si ribadiscono le conclusioni accennate nella tesi che precede sulla natura del partito, condannando sia il concetto operaistico che quello della élite a carattere intellettuale e morale, entrambi aberranti dal marxismo e condotti ad incontrarsi tra loro sulla via dello sbocco opportunista.” [24]
Il dilettantismo, la militanza del dandy, fa dell’impegno militante un’attività, un hobby o una occupazione tra gli altri dell’individuo. Il suo impegno comunista non è “al centro della sua vita”. La sua convinzione politica e militante è fondamentalmente più una postura rivoluzionaria che un vero impegno come militante comunista nella lotta collettiva del partito. [25] Così facendo, svolgere questo o quel compito è di scarsa importanza: perché distribuire un volantino che nessuno leggerà, perché organizzare un incontro pubblico a cui pochi parteciperanno, a che pro? sono le sue argomentazioni quando non è disposto a partecipare all’intervento del partito. Quante volte abbiamo sentito i fatalisti dire a che serve questo o quell’intervento, non siamo niente, o così poco...
La militanza che qui descriviamo come integrale è di ordine sacrificale. La priorità del militante è sempre l’attività rivoluzionaria, anche se la sua vita personale ne risente. Il suo impegno comunista non è “al centro della sua vita”, ma “tutta la sua vita”. Ha il merito, solo in apparenza, di mostrare un impegno molto più determinato. È simile a molte forme di militanza di estrema sinistra, maoista o trotskista in particolare. Molto spesso, non riesce ad accettare che il suo familiari e amici, ad esempio il suo partner, non sia anch’esse militante comunista. La coppia diventa allora “militante”. Anche l’educazione dei figli diventa un compito militante. La cerchia di amici si riduce a soli militanti. In breve, tende a trasformare la sua vita quotidiana in un catechismo comunista e spesso vuole che l’organizzazione sia un’isola di comunismo, il che alla lunga non può che portare a una visione e a una pratica settarie. Ma come il dilettante, la sua visione si basa sull’individuo e non sull’interesse collettivo dell’organizzazione proletaria. “Dà subito prova del suo ’cuore’ religioso andando in battaglia come sacerdote, a favore di altre persone, i ’poveri’ in questo caso, chiarendo che non ha bisogno del comunismo per se stesso, ma va in battaglia per puro sacrificio magnanimo, devoto e grondante di esso a beneficio dei ’poveri, degli sfortunati, dei reprobi’, che hanno bisogno di lui.” [26] Il risultato è una visione e una pratica militante che, oltre a sfociare nel settarismo, cade rapidamente nel volontarismo o nell’attivismo.
Entrambi i tipi di militanza, quella dilettantesca e quella integrale – o “totale” –, riflettono una incomprensione di ordine individualista di ciò che è e dovrebbe essere l’impegno individuale di un militante comunista. Oltre alle conseguenze politiche in termini di errata pratica dell’impegno militante e della concezione del partito che ne deriva, essi esprimono il peso dell’ideologia individualista sulle forze rivoluzionarie. Solo partendo dall’unità-partito, dal collettivo organizzato e centralizzato, si può superare la contraddizione che il singolo militante può sentire. Immediatamente, valutando con il membro, e quindi acquisendo anche la sua convinzione politica, che cosa è prioritario e cosa no. Il partito o gruppo politico comunista non può intervenire sempre e ovunque; deve scegliere delle priorità tra gli obiettivi politici. Tra questi, e a seconda del momento, preservare e proteggere il membro, o gli membri, da una situazione personale che potrebbe diventare impossibile – una crisi di coppia, ad esempio – può diventare un problema per l’organizzazione. Il militante comunista che la classe ha affidato al partito è prezioso per entrambi. Inoltre, l’impegno comunista individuale è un impegno per tutta la vita, non un impegno per un momento particolare e limitato. L’organizzazione comunista deve anche preoccuparsi di non “bruciare” i militanti o di non esaurirli: la situazione è diversa per l’organizzazione e per il membro stesso durante le mobilitazioni di massa, e ancora di più durante i periodi rivoluzionari.
“Se l’organizzazione si occupa il più possibile della buona condizione di ciascuno dei suoi membri, è soprattutto nell’interesse dell’organizzazione, affinché ciascuna delle sue cellule possa svolgere meglio la sua parte per l’organizzazione. Questo non significa ignorare l’individualità del militante e i suoi problemi, ma che il punto di partenza e il punto di arrivo è l’organizzazione per permettergli di svolgere il suo compito nella lotta di classe, che è il motivo per cui la classe lo ha fatto nascere.” [27]
Di conseguenza, l’organizzazione può dover sollevare un compagno da un compito di cui è responsabile, in modo che possa dare la priorità, in un determinato momento, alla risoluzione o alla prevenzione di difficoltà personali – ad esempio, per garantire l’armonia della sua coppia, per ripetere l’esempio precedente. In questo caso, non si tratta di un’ingerenza dell’organizzazione nella situazione personale del membro, né tantomeno di risolverla, ma di garantire il funzionamento dell’organizzazione nel modo più efficace possibile e di proteggere il militante la cui situazione sta diventando difficile, a rischio di indebolire la sua capacità militante e le sue convinzioni politiche.
L’organizzazione deve anche convincere i suoi membri che è opportuno informare le persone molto vicine – partner, figli in età da capire, a volte genitori e amici intimi – del loro impegno militante. Non si tratta di coinvolgerli nella vita interna dell’organizzazione, né di informarli, con il rischio di mescolare i rapporti affettivi e familiari con quelli politici. È importante rispettare e mostrare la distinzione militante/non militante. Ma si tratta piuttosto di preparare e proteggere i propri familiari da qualsiasi evento imprevisto nella vita di un militante rivoluzionario. Ad esempio, in caso di repressione, la famiglia e gli amici più stretti sono direttamente colpiti, con diversi gradi di intensità e conseguenze pratiche. Ma più in generale, è importante che le persone con cui il membro del partito condivide la vita quotidiana siano informate dell’impegno militante per gestire al meglio le implicazioni pratiche sulla vita quotidiana della famiglia. [28]
Questi pochi esempi e situazioni coprono solo una piccola parte delle varie difficoltà e situazioni che gli militanti possono trovarsi ad affrontare e di cui l’organizzazione deve tenere conto, in primo luogo per la realizzazione dei suoi compiti immediati e a lungo termine; e in secondo luogo per la difesa e la protezione del militante, che non è un superuomo. Nella vita quotidiana, è un essere sociale atomizzato come tutti gli altri, che deve affrontare le stesse difficoltà personali di chiunque altro. Sebbene l’organizzazione non possa aiutarli a risolvere i suoi problemi, può aiutarlo ad affrontare e superare alcune difficoltà della vita quotidiana, come problemi emotivi, familiari, depressione o stanchezza...
Con questo si concludono le nostre riflessioni. Siamo consapevoli di essere ben lontani dall’aver affrontato tutte le domande che i militanti più giovani e meno sperimentati possono avere sull’impegno comunista. Tanto più che le situazioni personali e i casi pratici sono innumerevoli e spesso unici e particolari. Così come il partito o l’organizzazione comunista non può risolvere le difficoltà personali dei suoi membri, queste considerazioni generali e largamente incomplete non possono servire come ricetta per l’organizzazione e per il membro per affrontare le difficoltà quotidiane di natura personale che possono incontrare. D’altra parte, pensiamo di contribuire a fornire un approccio e un metodo per affrontarle e superarle.
Innanzitutto, dobbiamo combattere l’ideologia individualista e politica e lo spirito di circoli in generale, e quello “2.0” oggi prevalente. L’approccio e l’obiettivo non possono che essere il tutto collettivo, cioè l’unità-partito. E non l’unità-individuo. La posta in gioco è semplice: l’omogeneità e l’unità politica del partito di domani, quello stesso partito che sarà chiamato a guidare la lotta rivoluzionaria del proletariato di fronte alla marcia verso la guerra generalizzata in cui ci ha trascinato il capitale.
Notes:
[1] . Non abbiamo qui lo spazio per spiegare l’opposizione di classe tra militanza comunista e militanza di estrema sinistra e le sue implicazioni concrete.
[2] . Tradotto da noi dal francese: https://www.marxists.org/francais/marx/works/1847/00/km18470001.htm.
[3] . Tipico dal avventuriero politico, Parvus (1867-1924) fu un esponente di spicco dell’ala sinistra della socialdemocrazia, in particolare a fianco di Rosa Luxemburg e Trotsky. Ebbe un ruolo di primo piano nel dibattito sullo sciopero di massa e durante la Rivoluzione russa del 1905, insieme allo stesso Trotsky. I primi segni di uno stile di vita anticonforme si manifestano quando si rifiuta di pagare quanto dovuto a Maxim Gorky e al Partito Socialdemocratico per la “produzione” dell’opera teatrale Bassifondi. Uomo d’affari “dotato”, era “coinvolto in speculazioni durante le guerre balcaniche e si era arricchito al servizio dei turchi” (Paul Frölich, Rosa Luxemburg), in particolare attraverso il traffico di armi. Tutto ciò portò a un progressivo allontanamento di Parvus dai circoli rivoluzionari, e in particolare a una rottura personale con Rosa Luxemburg. Probabilmente un sincero rivoluzionario, riteneva di poter utilizzare le sue capacità personali di uomo d’affari e i suoi contatti con il mondo degli affari e con lo Stato per servire la rivoluzione. Non c’è dubbio che questo tipo di personaggio, che si crede destinato a un ruolo e a un destino storico, ricompaia regolarmente nelle file rivoluzionarie. Ovviamente ancora di più durante i periodi rivoluzionari... Qualunque siano i servizi che credono di poter fornire al movimento comunista, in particolare il suo finanziamento, questi individui rappresentano un pericolo da combattere per le organizzazioni comuniste.
[4] . K. Marx, Lettere à F. Bolte, 23 novembre 1871, Sur le Parti révolutionnaire, Éditions sociales, 2023, tradotto da noi.
[5] . Principalmente, il Partito comunista internazionale, che pubblicava il Programma comunista e Le Prolétaire e, per il secondo, Il Partito comunista internazionalista, che pubblica Battaglia comunista e Prometeo, da cui nacque la Tendenza comunista internazionalista.
[6] . Tesi di “Lione” presentate dalla Sinistra d’Italia al 3° congresso del Partito comunista d’Italia, 1926
[7] . K. Marx, L’ideologia tedesca, Éditions sociales, 1976, tradotto da noi dal francese.
[8] . La riappropriazione può avvenire realmente solo in un contesto organizzato e collettivo.
[9] . K. Marx, L’ideologia tedesca, I. Feuerbach, p. 42-43, Op.cit.
[10] . Tesi sulla tattica del Partito comunista d’Italia (Tesi di Roma), 1922.
[11] . Partito comunista d’Italia, Il principio democratico, 1922.
[12] . K. Marx, tradotto da noi del francese: Adresse du Conseil général de l’AIT (la 1er Internationale) aux membres et aux sociétés affiliés et à tous les travailleurs, 1867, in Sur le Parti révolutionnaire, Éditions sociales, 2023
[13] . Kautsky citato da Lenin in Un passo avanti, due indietro (Opere complete VII, Editori riuniti, 1959) . Il fatto che Kautsky abbia tradito l’internazionalismo proletario a partire dal 1914, che sia stato il più eminente attore del centrismo all’interno della 2a Internazionale almeno a partire dagli anni Dieci, prima della guerra, non sminuisce affatto il valore politico di classe di molte delle sue posizioni e dei suoi testi.
[14] . Tesi di Roma, op.cit.
[15] . K. Marx, Lettere a F. Bolte, op.cit.
[16] . Lenin, Un passo avanti, due indietro, Inizio del congresso… Utilizziamo la formulazione della versione francese piuttosto che quella italiana, che sostituisce “spirito” con “sistema di circoli o partito?”
[17] . idem., La nuova Iskra, l’opportunismo nelle questioni organizzazione.
[18] . Naturalmente, l’attività comunista e le differenze, o addirittura le separazioni, politiche e organizzative non impediscono di mantenere relazioni amichevoli con gli ex compagni. Le relazioni politiche e personali devono essere distinte il più chiaramente possibile, anche se la realtà delle lotte politiche può influenzare anche le relazioni personali. Ma questa è una questione che riguarda gli membri come individui, non l’organizzazione...
[19] . Sappiamo, ad esempio, che la CCI non tiene più riunioni locali, anche quando ha diversi membri nella stessa città. Si tengono riunioni “trasversali”, che “riuniscono” membri provenienti da luoghi diversi, che sono quindi isolati dai compagni con cui dovrebbero intervenire in caso di lotte operaie o di altro tipo, ma rimangono comodamente a casa. I criteri di assegnazione dei membri a particolari reti video non possono che essere arbitrari e personalizzati. Un remake moderno della bolscevizzazione zinovievista dei partiti comunisti all’inizio degli anni Venti, che sostituì le riunioni delle sezioni territoriali o locali con la creazione di cellule aziendali, e che la Sinistra italiana denunciò con forza.
[20] . Le condizioni prevalenti negli anni Sessanta e Settanta, la rottura organica con le organizzazioni del passato a seguito della controrivoluzione, l’influenza del consiglierismo favorita dall’opposizione allo stalinismo e l’atmosfera studentesca dell’epoca, hanno lasciato un segno nelle organizzazioni della rinascenta Sinistra comunista d’allora.
[21] . Non siamo esenti da questa difficoltà. Questa pressione “sociale” e soprattutto ideologica viene esercitata anche su di noi, naturalmente..
[22] . Lénine, op.cit.
[23] . Purché sia disposto a farlo, o almeno accettino di farlo, il membro può “esporre” pubblicamente una posizione con la quale non è d’accordo, o anche leggere un testo che la difende, se non c’è nessuno d’accordo a difenderla. Lo scopo è quello di stabilire i termini, o addirittura le condizioni, di un dibattito politico e di un chiarimento. Ma sarebbe un errore per il partito o l’organizzazione costringere un membro a difendere una posizione che non condivide.
[24] . Tesi di Leone, op.cit.
[25] . Spesso, anche se non sempre, il dilettantismo militante è portato da militanti che definiremmo avventurieri e che si vedono, o si vedrebbero, come aventi un destino come figura storica – in particolare quando la storia sembra essere “in fermento” e il comunismo diventa “di moda” in certi ambienti.
[26] . K. Marx, Circulaire contre Kriege de mai 1846, in Sur le Parti révolutionnaire, Éditions sociales, 2023, tradotto da noi.
[27] . Estratto da un intervento di Marc Chirik alla sezione parigina della CCI nel novembre 1980, tradotto da noi, cf. Marc Laverne et le Courant Communiste International, recueil de textes choisis par Pierre Hempel.
[28] . In un caso caricaturale, un militante della categoria “integrale” si è rifiutato di informare la famiglia e gli amici del suo militantismo. Dopo un po’, la sua compagna pensò che avesse una relazione amorosa con altra persona che andava a trovare una volta alla settimana, anche se lui andava alla riunione settimanale!