Rivoluzione o Guerra n°27

(Maggio 2024)

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L’attuale corso storico e il pericolo del pacifismo

Convincere della crisi del capitalismo e della minaccia di una guerra imperialista generalizzata non sono più vere priorità per i rivoluzionari coerenti della Sinistra Comunista Internazionale. La stessa borghesia non sostiene più che la prosperità per tutti sia dietro l’angolo. Né nasconde la necessità di prepararsi alla guerra. Non c’è dubbio che ci siano ancora frazioni o settori e molti individui della classe capitalista e del proletariato, ancor più negli strati della piccola borghesia, che si rifiutano di guardare in faccia il dramma che sta arrivando. Ma i settori più consapevoli e determinati della borghesia e del proletariato, in particolare le loro espressioni politiche, sanno dove sta andando il mondo capitalista. Alla guerra generale.

Le esitazioni o la cecità che possono persistere nelle file del proletariato di fronte alla tragedia storica si riflettono – ovviamente in modo indiretto – nelle divergenze e nei dibattiti sulla crisi e sulla guerra che occupano il campo proletario. Il fatto che un’organizzazione della Sinistra comunista come la Corrente Comunista Internazionale (CCI) continui a negare l’esistenza di una dinamica verso la guerra generalizzata ne è un’espressione. Ma nel complesso, la questione centrale che oppone l’ideologia borghese alla teoria rivoluzionaria proletaria non riguarda più la crisi e la guerra. Si tratta del corso storico: la guerra è inevitabile? Può essere contrastata? Può essere prevenuta? E se sì, come? Chi può farlo? Quale forza?

Il marxismo ha sempre sostenuto che solo il proletariato internazionale può sollevarsi contro la guerra imperialista. In quanto classe sfruttata, la produzione in vista e per la guerra aggrava lo sfruttamento del lavoro da parte del capitale. Qualsiasi lotta in difesa delle condizioni di lavoro imposte dalla guerra rappresenta di per sé, oggettivamente, una resistenza e un’opposizione ad essa. Come classe rivoluzionaria, è l’unica forza sociale o storica in grado di distruggere il capitalismo, che porta in sé la guerra imperialista generalizzata. In breve, la lotta del proletariato contro lo sfruttamento capitalistico è quindi anche una lotta contro la guerra imperialista quando quest’ultima è all’ordine del giorno. Poiché “ogni sciopero nasconde l’idra della rivoluzione”, frase che Lenin riprese da un ministro degli Interni prussiano, [1] solo il proletariato può lottare non contro la guerra e per la pace, cioè sul terreno del pacifismo, ma per trasformare la guerra imperialista in guerra di classe, cioè sul terreno dell’internazionalismo proletario.

Tuttavia, sembrando invalidare questa tesi, i proletari della Russia, dell’Ucraina, di Israele, della Palestina, del Medio Oriente e dell’Africa hanno dimostrato e continuano a dimostrare la loro impotenza di fronte alle guerre a cui sono direttamente esposti sul lavoro e sui fronti militari. Su scala più ampia, il proletariato internazionale non riesce a contrastare la marcia verso la guerra generalizzata. Né gli scioperi e le lotte dei lavoratori in tutti i continenti – che non possiamo citare in questa sede. Né le massicce mobilitazioni proletarie che hanno avuto luogo in Gran Bretagna nel 2022 e in Francia nel 2023. E nemmeno la successione di scioperi degli ultimi due anni in Nord America, culminata nello sciopero dell’industria automobilistica “lanciato” e sabotato dal sindacato UAW. Peggio ancora, la borghesia americana guidata dal democratico Biden, venuto a dare una mano al sindacato nei picchetti, è riuscita a trasformare lo sciopero in un momento di adattamento dell’apparato produttivo industriale americano e di formazione di parte del proletariato americano in la preparazione della guerra. [2]

Sarebbe inutile negare i limiti di queste lotte operaie, la loro incapacità di contendere la lora direzione agli sindacati e le forze borghesi operante nell’ambiente operaio e di opporsi al loro sabotaggio. Quando c’è una lotta operaia, il che non è sempre vero. Oggi il proletariato internazionale non è in grado di affermare e offrire, nemmeno di accennare, un’alternativa al capitalismo e alla guerra. La fotografia immediata non può che provocare scetticismo e fatalismo non solo tra le sue fila, ma anche tra i singoli, proletari e non, e i gruppi “abitati” da una speranza rivoluzionaria, qualunque essa sia.

Di nuovo, questo “sentimento” di impotenza nei ranghi proletari può trovare un’eco ed essere espresso in un modo o nell’altro all’interno delle forze del campo proletario, e persino all’interno della stessa Sinistra comunista: il proletariato è totalmente soggiogato. È impotente di fronte alla guerra. Oppure è sconfitto e la guerra è inevitabile. Oppure, al contrario, la foto può provocare un atto o una professione di fede e una frase rivoluzionaria priva di significato politico: il proletariato non è sconfitto o la borghesia non può muoversi verso la guerra generalizzata perché la classe operaia non è sconfitta. In questo caso, un semplice dato dell’equazione storica viene trasformato in uno schema assoluto.

Questa difficoltà a vedere oltre la foto e a considerare solo la debolezza immediata – reale – del proletariato indebolisce e mina la convinzione dei rivoluzionari, dei gruppi, dei circoli e degli individui più o meno coscienti del suo carattere rivoluzionario e della sua capacità di sollevarsi e opporsi alla dinamica de guerra generalizzata. A ciò si aggiunge il fatto che la borghesia, i suoi mezzi di comunicazione e i suoi propagandisti non rimangono inattivi e ribadiscono che il proletariato rivoluzionario è impotente o addirittura inesistente. Soprattutto, non esita a far occupare alle sue forze di sinistra e di estrema sinistra il terreno del “pacifismo”.

Pericolose, anche se di natura diversa, sono anche le iniziative "radicali", ma pur sempre pacifiste, di militanti e individui sinceramente rivoluzionari, anche e soprattutto quando manifestano un radicalismo politico anarchico. Non c’è dubbio che la visione di un proletariato impotente, o addirittura la sua assenza dalla foto, può solo alimentare la disperazione e l’avventura dei più ribelli. L’appello del Congresso contro la guerra di Praga ne è un’espressione. [3] Il suo obiettivo è “il coordinamento di azioni dirette per sabotare l’intera macchina della guerra”, senza alcun riferimento al proletariato e ancor meno alla realtà dei rapporti di forza tra le classi. Così com’è, questo congresso, se avrà anche solo lontanamente successo, rischia di attirare individui e circoli, spesso anarchici, nell’avventurismo e nell’attivismo della piccola borghesia in rivolta. Il ruolo e la responsabilità della Sinistra Comunista è quello di avvertire i partecipanti del pericolo e dell’impasse politica di ciò che, in ultima analisi, non è altro che l’espressione di un “pacifismo radicale” e di offrire loro l’alternativa dell’internazionalismo proletario così come può essere espresso oggi, cioè sulla base del reale rapporto di forze tra le classi e delle sue dinamiche. Finora, la nostra partecipazione a questo congresso si è concretizzata in un Discorso pubblico che abbiamo inviato ai partecipanti. [4] Esso oppone l’alternativa di classe dell’internazionalismo proletario che è costituita dai comitati della NWBCW lanciati dalla TCI, per quanto modesti e limitati, e ai quali avevamo aderito. Ovviamente, quest’ultima non è esclusiva e qualsiasi altra iniziativa che si collochi chiaramente sul terreno della lotta di classe dovrebbe essere presa in considerazione e discussa.

Contro gli visioni statiche e unilaterali che portano al fatalismo o al volontarismo, dobbiamo riaffermare che non c’è “una lotta del proletariato”, ma una “lotta tra borghesia e proletariato”, una lotta di classi e non “di classe”. Oggi è già e sarà sempre più determinata dal fattore “marcia verso la guerra generalizzata”. È il corso inevitabile della storia. È per queste esigenze che ogni classe borghese raddoppia, e raddoppierà, gli attacchi al “suo” proletariato. È la necessità di prepararsi alla guerra imperialista, e non più la semplice difesa della competitività del capitale nazionale di fronte alla concorrenza, che diventa la preoccupazione principale di ogni capitale nazionale di fronte al proletariato. Produzione di armi, rilancio delle industrie belliche, esplosione dei bilanci militari per la difesa, il tutto al costo di un indebitamento che si avvicina all’abisso – crisi e guerra si alimentano a vicenda, come abbiamo detto – detteranno il terreno e i tempi degli scontri di classe che la borghesia è costretta a provocare. A ciò si aggiungerà la necessità di imporre la disciplina sociale e la mobilitazione di grandi masse di soldati per i massacri al fronte, a lungo termine per la maggior parte dei Paesi, già oggi per Russia, Ucraina e Israele.

Contrariamente a una visione schematica che fa della sconfitta storica del proletariato una precondizione assoluta per la guerra, non possiamo escludere che, pressata dalla crisi e spinta dalla logica delle rivalità imperialiste e militari, la borghesia sia costretta a lanciarsi in una guerra generale senza aver prima inflitto una sconfitta ideologica, politica e sanguinosa al proletariato. In tal caso, la borghesia correrebbe un rischio maggiore, lo stesso che ha vissuto durante l’ondata rivoluzionaria del 1917-1923. Lo stesso rischio da cui si protesse infliggendo la sconfitta politica e il terrore sanguinario negli anni Trenta.

Certo, questo rischio storico potrebbe rivelarsi insignificante nel caso di una guerra nucleare generalizzata che distruggerebbe il pianeta. Per il momento, non siamo ancora a quel punto. Ci saranno scontri di classe. A maggior ragione, quindi, i rivoluzionari devono prepararsi al meglio affinché il proletariato possa rispondere nel modo più efficace possibile; in altre parole, e per dirla in modo semplice, affinché possa cogliere in massa gli orientamenti e gli slogan proposti dai gruppi comunisti. Per fare questo, deve dotarsi di una forza politica materiale in grado di definire, portare e diffondere politiche e slogan alle masse – e, tra l’altro, di difendere rigorosamente l’internazionalismo proletario contro ogni forma di pacifismo. Deve dotarsi del suo proprio partito politico, il Partito Comunista Mondiale.

La lotta per esso, che i gruppi comunisti devono intraprendere, è anche un elemento e un fattore, in ultima analisi il principale, dell’evoluzione del rapporto di forze tra borghesia e proletariato, del scorso storico.

El equipe de redazione, 28 aprile 2024

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Notes:

[1. Tradotto dal francese: Rapport sur la révolution de 1905, 1917, œuvres complètes, vol. 23.

[3. Riportiamo questo Appello in questo numero e lo seguiamo con un Indirizzo a tutti i partecipanti al Congresso, esponendo la nostra posizione critica sul Congresso e proponendo un’alternativa.

[4. Tra l’altro, i suoi organizzatori rifiutano la partecipazione dei “costruttori di partito”: “non abbiamo invitato nessuna delle più "famose" grandi organizzazioni cosiddette ’comuniste di sinistra’.” (Intervista con il comitato organizzatore)